Lascio a te queste impronte sulla terra

Lascio a te queste impronte sulla terra
tenere dolci, che si possa dire:
qui è passata una gemma o una tempesta,
una donna che avida di dire
disse cose notturne e delicate,
una donna che non fu mai amata.
Qui passò forse una furiosa bestia
avida sete che dette tempesta
alla terra, a ogni clima, al firmamento,
ma qui passò soltanto il mio tormento.

Spazio, spazio

Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.

Vorrei chiederti

Vorrei chiederti
almeno una grazia
di andartene lontano senza ricordarmi.

Al tempo dei tempi,
quando le rive del Gange erano così vicine
io ero piena di vecchia sapienza.

Poi mi hanno lasciato sola
come qualcosa di cui non aver cura
e ne ho sofferto.

Sono sempre stata giovane
come una ragazza
ma la gente non mi ha tradotto
in nessuna lingua.

L’unica cosa che posso dire
è che non ho mai pianto
e da tempo ho smesso
di chiedermi il perchè
del mistero della vita.

Mi chiedo come mai la vita
si risveglia ogni mattina
quando io avrei giurato a tutti
che sarei morta ieri sera.

Vorrei poter suonare quei violini

Vorrei poter suonare quei violini
che solo a notte adeguano le stelle
e dirti che così vicini
possiamo amare tante cose belle;
ma tu ti rifugi nel silenzio
delle tue stanze e non odi oscuro
questa divina musica lontana
che sì mi batte in cor tanto sovrana
che mi fa meraviglia delle stelle
(a te ho dato le cose mie più belle)

Egli mi ama

Egli mi ama, ed io
che gli offersi spavalda
la difesa assoluta di uno sguardo
superante se stesso,
io che fui temeraria
al punto di non credere alla forza
del possesso maligno,
ora ch’egli mi oppone
uno sguardo altrettanto dilatato,
indietreggio spaurita,
mentre mi affiora al labbro incontrollato
il < credo > antico e nuovo della carne.

Ora non ho più occhi
perché il mio modo di guardare è spento.

Ansia

Ora che io riposo
nella certezza del tuo ritorno
e sento che l’ore
si caricano d’aspettazione
e dànno il frumento divino
dei desideri del corpo,
ora che sul vigoroso
sfondo del tuo avvicinarti
ogni sfiducia
è sollevata ed ammessa
al triplice riferimento
delle cose concrete,
accordo questo tormento
alla notturna carità di un suono.

Io ti ho offerto

Io ti ho offerto il mio corpo come un moto
di gioconda tristezza
come un’acqua serena per andare:
tu mi hai creduto una rupe divina
ma non atta a ancorare la radice…

Io ti ho offerto i miei tralci, la mia voce,
la mia vite feconda
ho domandato che tu mi capissi…

Ma neppure hai cercato di baciarmi
e mi credi una venere delusa.

Io ho scritto per te

Io ho scritto per te ardue sentenze,
ho scritto per te tutto il mio declino;
ora mi anniento, e niente può salvare
la mia voce devota; solo un canto
può trasparirmi adesso dalla pelle
ed è un canto d’amore che matura
questa mia eternità senza confini.

Io sono folle

Io sono folle, folle,
folle di amore per te.
Io gemo di tenerezza
perché sono folle, folle,
perché ti ho perduto.
Stamane il mattino era sì caldo
che a me dettava questa confusione,
ma io ero malata di tormento
ero malata di tua perdizione.