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Mi fissi imperterrita mentre tua voce
permea la mia attenzione, colpita
da una discrepanza che credea sfuggita
a te che ripeti tua richiesta feroce.

Proferisci poi piano sottovoce
incurante e senza colpo ferire
risposta al mio ingenuo disquisire
sul tuo inganno che mi parve atroce.

Impavida, tu che di Cerere fai mercimonio
con l’aria angelica la tenzone vuoi finire
come Lucifero ti mostri sguaiato demonio.

(Titolo: Fornaia imbrogliona)

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Il tuo interloquire trasmette tracotanza
da un’indefinita conoscenza enunciavi
propositi e prescrizioni a cui poi ci obbligavi
e ci rendevi succubi della tua baldanza.

Ma la tua imago s’era incrinata
non lo dicemmo, lo confesso,
come di una vendetta il riflesso
e scotto di una faciloneria ripagata.

Così tu sorridevi e noi pure
di celestial missione investita
arroccata in supposte alture
ma dal mortal destino tradita.

(Titolo: Prezzemolo tra i denti del capo)

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E subitaneo silenzio si fece.
Volsi così lo sguardo la cielo
coperto, ahimè, dal laterizio velo
nella notte nera pece.

Mi riebbi dall’isolamento
pel dolor sollecito
conseguente, chiaro e implicito
presagi di un tormento

che colora la dimenticanza
di un nero manifesto
per aver lasciato – me mesto! –
il buio in questa stanza.

(Titolo: Dito chiuso nel cassetto)

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Pien di luce era la notte scura
e passeggiavo a cor leggero
con l’animo resosi un poco altero
dal trionfo della beltà sulla paura.

Riavutomi poi da cotal stupore
ero ben lontano dalla cara meta
sicchè con l’ausilio della vil moneta
presi il comun mezzo con malcelato timore.

Ma in un attimo preso, dal sonno rapito,
m’accorgetti abbassando di sfuggita lo sguardo
che quel sogno creduto brillante e maliardo
era stato da un uomo distrutto e ferito.

Sicchè tornar a casa io ora vorrei
e più non so come.

(Furto della borsa nel bus notturno)

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Ardea il campo dorato e lucente
infera immagine dall’azzurro mitigata.
Nel giorno del Signore si fece obbligata
l’escursione lontana dall’aere ardente.

Giunti che fossimo nel romano mare
il desiderio fu di trovar pace
al riparo immediato dell’inusitata brace
ove le membra fresche riparare.

Ma disgrazia ci colse del comun pensiero
tale che ultimi dell’umana condizione
fossimo noi espulsi da coltal tenzone
e il ritiro conluse il giorno nero.

(Titolo: Domenica a Ostia)

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Stregato dai tuoi melliflui occhi
mi pare il giorno esser più triste
allorchè al maleficio s’assiste
che la disperazione nel volto ti tocchi.

M’accosto, t’osservo, mi fermo e sorrido
tu ricambi bonaria, credetti, in buona fede
con una sofferenza che si vede in quelle prede
incapaci nel terrore di gettar un sol grido.

Con il cuore, confidando, un dono ti porgo
ma mi guardi malevola ed allora m’accorgo
che preda non sei, ma di me ti burli,
fuggevole m’allontano mentre schernendo mi urli

(Titolo: La mendicante non accetta i panini)

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Le gocce cadute bagnano me pure,
il giorno correa incontro all’imbrunire
della pioggia il rumor si potea sentire
richiamavan i lampi le arcane paure.

L’aria di dicembre è cosa dura
ti scuote un poco, ti urla addosso
il desiderio del caldo che avei rimosso
col delusivo piacer che alla mente procura.

Inerme affrontavo, dolorante e indifeso,
l’abbattersi della tempesta che m’avea colto
impreparato e nell’incertezza preso
guardando il destino nel suo amaro volto.

(Titolo: Finestrino dell’autobus rotto)

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Lasciatemi gridar che il tempo fugge
e noi più lenti di lui restiamo
nel porgli misura di sfidarlo crediamo
ma egli solerte l’illusion distrugge.

La nebbia fitta si fece più rada,
spalancai le fessure di questa mia tana,
custode ormai della speranza vana
del nutrimento per cui l’invito decada.

L’oro rubicondo che nero si fece
ardea rodendo per siffatta brace
che nel pensier mio ancor non trova pace.

(Titolo: Lasagne bruciate)

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Nasce sotto i peggiori auspici
il giorno lungo di un’afosa estate
passata nelle stesse stanze odiate
dell’impieghi che furon assai infelici.

Il mio corpo, sai, non ha padroni
la mia volontade non gli pone impedimenti
per quanto poi d’oppormi tenti
solo vuol che a lui m’abbandoni.

Ma la realtà s’aggiusta ancor più forte
sicchè il mio corpo che a lei si piega
mi porta presagi di nefasta sorte
e la mia alma l’uom dell’acqua prega.

(Titolo: Scarico del bagno rotto)

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Tu che sei la Pizia di questo tempio,
priora sei di questo convento
ove si rifugia il cor contento
dal mondo sommessamente empio.

Qual che sia tua notizia di buon grado
l’accetto, ché null’altro potrei fare
senza tuo atto d’ira cagionare
sicchè dal mio pensar stesso mi dissuado.

Perché ora dunque con odio mi miri?
Allorchè m’addentro in più oscuri luoghi
una vetusta rabbia su me sfoghi
e il capo d’artificioso oro da me giri.

Ma null’altra strada mi restava.

(Titolo: La portinaia puliva le scale)

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Le tue parole serene e soavi
dolci, eleganti e raffinate
le sceglievi di buon gusto adornate
di letizia la tua favella melodiavi.

Ma era pioggia e cadea forte
sicchè restar non era saggio
pensar di cambiarti era miraggio:
l’allontanarci era l’unica sorte.

Così me ne andai per salvarmi
e per salvarti dalla vergogna
di romper il sogno di colui che sogna
e notar tua natura ingiusta e io senz’armi.

(Titolo: Mentre mi parlavi sputacchiavi)

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Vorrei lasciarti cadere nell’oblio,
avrei preferito non giunger a conoscenza
ma la realtà s’impone con prepotenza
e l’ingiuria prende quest’odor stantìo.

Porti via un quarto di questo mese
con te, frutto di indfessa fatica
rinnovi ora una questione antica
con la rabbia che già da tempo mi prese.

Siamo andati noi troppo veloci
più di quanto il tempo permettesse
e quel che conceder non si potesse
lo vedo segnato su te, con parole atroci.

(Titolo: Multa)

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Chiesi le begonie, ma begonie non avevi.
Proponesti rose, eppur non mi convincevi,
un po’ per il prezzo e un po’ per la fattura:
le rose già andate mi parean una iattura.

Presi margherite, titubando un poco,
altro non conoscevo in tal ameno loco.
Mi guardavi, mi capivi, riflettevi anche tu:
forse un fiore giallo, magari un fiore blu.

Ad un tratto, repentino, “calle?” dicesti,
caro romano, “meglio fresche, non diresti?”.
Incartasti le margherite e più non rispondesti.

(Titolo: Le calle sono fiori)

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Nei lignei scrittori assiso non udivi,
par che non ti giungesse la mia voce
implorante per tal responso atroce
che una volta emesso intirizzivi.

Non ti impensierisce che al mio focolare
rinunciar io devo fino a ignota data
da carte, pareri e indifferenza negata
costretto dal mio futuro a rinegoziare.

Adduci a ciò l’inutil questione
del denaro non fisso ricevuto
che del mio quotidian, com’hai veduto
è già assidua tribolazione.

(Titolo: Mutuo respinto)