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L’aere inumano s’è fatto
nell’anfratto d’artificiosa fattura
adibito a recar a maggior altura
nell’ambiente dal crocchio rarefatto.

Di mortal natura era l’origine
del misfatto da malizia cagionato,
di un perfettibile nutrirsi il risultato
che nel ricordo rinnova la vertigine.

Il disgusto non sortì alcun effetto,
l’odoroso aere in alcun modo si dissolse,
anzi portò diletto al fattore maledetto.
Mentre l’intera mattina mi sconvolse.

(Titolo: Peto in ascensore)

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Grido forte
“manca spazio!”
quasi è morte
questo strazio.

Spinto e sospinto
a necessità obbligato
pressato ad un lato
da rassegnazione vinto.

Or che l’aere scarseggia
il mio corpo è il mio confine
mentre la folla rumoreggia
attendo di questa attesa la fine.

(Titolo: Autobus nell’ora di punta)

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La tua voce m’era lontana
chiedevi, così pensavo,
ma non capivo, e m’arrestavo,
ed ogni scelta restava vana.

M’irritai, m’hai visto
ma non era l’intenzione
di recar preoccupazione
e lo sguardo volger tristo.

Ma l’indecisione affama
cosicchè fermamente chiesi
ciò che è semplice, semplicemente presi
benchè la scelta risultasse grama.

(Titolo: Cameriere afono)

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Nel chiacchierino crocchio perder mi sento,
avrei voluto ci fossi tu meco
e se l’attenzione altrove io reco
immerso rimango nel vociar mai spento.

Non ci sei e di non pensar tento
al tempo che inutilmente spreco
assalito dal lamento greco
dell’uom fatale per cui mi pento

d’aver interrogato quando ero solo,
ultimo d’una schiera che paren cento
per sua serenitade con pazienza m’immolo.

(In fila dal dottore)

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Si espande e cade poco a poco
sprigionata da inconsueto calore
stillicidio inumano nel mio stupore
or che guardo in più nascosto loco.

Un nero artificioso copre i ricordi,
piccoli preziosi e penosi pensieri
di riscrivere oggi quel che feci ieri
cancellati perfino gli antichi bordi.

M’hai tradito, mia compagna,
di tante parole per poco perse
compagna ora della mia langa.

(Titolo: Penna scoppiata)

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Quest’antro un poco angusto
alle spalle del sole di mattina
privato di luce dalle case intorno
pare così ancor più vetusto.

I suoni lontani odo così vicini,
l’altrui viver m’è così noto
così è il mio per loro in toto.
Intrattenuto ogni dì dai lor felini.

Mio caro, troppo caro rifugio
aperto da un sol pertugio
ti lascio perchè lungi. E nel mio avvenire
dimentiar voglio la polvere e quell’umano frinire.

(Titolo: Stanza in subaffitto)

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Che fai, lassù, dimmi che fai.
Smargiassa fissi noi poveri uomini
se mortal poi nome ti nomini
so io che di lui tutto già sai.

Perdonaci, o donna dal pelo rosso tinta,
se di tua perfezione non prendiamo esempio
se di questa éra noi siamo scempio
dai ricordi di miglior giuventù vinta.

Quando poi misteriosa nell’antro ti celi
non gridar, che di tuo grido potrei morire,
parlami invece se mi vuoi istruire
tu che tutto a tutti tanto riveli.

(Titolo: Vecchia pettegola)

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Il forte vento ammutolisce il cinguettìo
la pioggia goccia, cic-ciac, fra le tamerici
chi ci salva dall’implacabile oblio?
tu ti quieti, mi guardi, mi rispondi “ma che dici?”.

Non senti l’acqua che forte cade,
vorresti lasciare il verde che scroscia
non raccoglier, noi, la suggerita angoscia
di questo amor che con la pioggia evade.

Ma dici tu, dura e senza cure,
mentre la mia tristezza è al culmine
correndo via per paura di un fulmine
“se tu vuoi cianciar, da solo ciarla pure”.

(Titolo: Acquazzone a Tor Lupara)

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Ora davvero è dura
per l’atto compiuto assorto
pel fidarmi, banale torto,
lasciandomi cadere senza cura.

Rapito dalla diurna stanchezza
attardato già sulla via
che risolve a casa mia
vinto ormai da leggerezza.

Il confortevole o la pigrizia
mi fecero un poco vacillare
ed ora che la rabbia m’assale
il biasimo s’arresta su cotal impudicizia.

(Titolo: Chewingum sul sedile dell’autobus)

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Un tremito possente
mi scuote da dentro
dipana dal centro
e tormenta la mente.

Dileguarsi senza indugiare,
ché il probabile periglio
mi sospinga a un nascondiglio
ove il mio dolor vuotare.

E nella fuga a perdifiato
il mio pensier tardo è naufragato.

(Titolo: Latte scaduto)