Socrate

Socrate nasce ad Atene nel 420 o 469 a. C., sappiamo la sua data di nascita dal processo in cui è stato condannato a morte. Muore nel 399 a. C. e la sua morte viene raccontata in un testo di Platone chiamato Apologia di Socrate (“apologia” vuol dire “difesa”). In questo testo Socrate racconta la sua vita e dice di essere arrivato a 70 anni. Questo è l’unico dato che abbiamo n questo processo Socrate dice di avere 70 anni. Il padre si chiamava Sofronisco ed era scultore, la madre si chiamava Fenarete ed era levatrice, cioè aiutava le donne a partorire.
Socrate aveva una figura satrapesca, cioè era come un Satrapo (figura del mito greco), cioè era basso, rozzo e brutto. La moglie di Socrate si chiama Santippe ed è descritta come una donna con i capelli rossi e il carattere aggressivo.
Socrate studia ad Atene e si allontana dalla città solo tre volte per fare il soldato. Socrate non ha mai fatto politica, si interessava solo di filosofia.
La filosofia era come un esame di se stesso e degli altri che non finiva mai

Socrate ha alcune cose in comune con la sofistica:
– si interessa dell’uomo e non della natura
– cerca nell’uomo e non fuori dell’uomo le qualità del pensiero e le ragioni per agire
– il fatto di mettere tutto in discussione
– l’uso della dialettica e del paradosso

Socrate è diverso dagli altri sofisti per alcune cose principali:
– ama la verità e si rifiuta di pensare la filosofia come un discorso vuoto che è fatto solo per mostrare la propria bravura a parlare
– cercare di andare oltre il pensiero relativista che diceva che ognuno vedeva le cose in modo diverso, tutte le interpretazioni erano uguali ecc…

Nei primi anni della sua vita fa parte del Circolo di Pericle (Pericle era uno dei più grandi politici ateniesi) e qui conosce i due filosofi naturalisti Anassagora e Archelao. Sempre in quegli anni sembra che Socrate sia entrato in contatto con Parmenide e Zenone, due ontologi e pare che abbia conosciuto Protagora e Ippia, due sofisti.
Socrate quindi conosce filosofie molto diverse.
Platone scrive due dialoghi: il Parmenide, dove c’è il dialogo tra Socrate e Parmenide e il Protagora dove c’è il dialogo tra Socrate e Protagora. Noi sappiamo da Platone che Socrate ha avuto questi incontri ma sappiamo anche che a volte Platone inventava dei dialoghi che non rappresentavano cose che erano successe veramente. Platone inseriva i personaggi per quello che rappresentavano e non perché era successo davvero.
Di tutte queste filosofie quella che influenza di più Socrate è quella di Anassagora, cioè si sente più vicino alla filosofia naturalista. Nell’Apologia, Socrate dice che ha avuto una crisi che lo ha portato a cambiare il suo pensiero. Socrate nel Fedone (altra opera di Platone) dice di aver lasciato lo studio della natura per trovare rifugio nel Logoi → ragionamenti.
Questa crisi di cui parla Socrate dovrebbe esserci stata intorno al 430 a. C. Un amico di Socrate che si chiamava Cherofonte, va dall’oracolo di Delfi dove c’era il tempio più importante della Grecia e qui chiede alla sacerdotessa “Chi è l’uomo più sapiente della Grecia?” e la sacerdotessa risponde “Socrate”. Quando Socrate lo viene a sapere entra in crisi perché si chiede come mai è lui l’uomo più sapiente.
Comincia a cercare la ragione delle cose, va per le strade di Atene facendo domande alle persone (“che cos’è l’amore?”, “che cos’è l’amicizia?”, “che cos’è la giustizia?” ecc..). Lo faceva sempre fino a diventare fastidioso e molti ateniesi lo chiamano “tafano”, cioè come un insetto che punge.
Socrate non lavorava e per tutto il giorno faceva questo; alcuni uomini erano affascinati da questo suo modo di fare ricerca filosofica, cioè con l’interrogazione.

All’inizio dei suoi studi, Socrate si interessa della natura poi però pensa che non si possono capire le ragioni della natura, dell’Essere in generale e del mondo. Comincia a pensare ad una filosofia come una ricerca sull’uomo. Il problema non è più il mondo esterno ma l’uomo.
L’obiettivo è conoscere se stessi e dato che si è uomini solo quando si è in mezzo agli uomini, per conoscere se stessi bisogna avere un dialogo con gli altri uomini.

Per Socrate prima di iniziare la ricerca bisogna riconoscere la propria ignoranza. Socrate dice che il vero sapiente (saggio) è quello che sa di non sapere. Che vuol dire “sapere di non sapere”? Vuol dire che sulla natura non si può dire niente con sicurezza mentre sull’uomo bisogna sempre ricercare. Se io so di non sapere allora faccio di tutto per imparare e sapere.
Socrate racconta di aver capito che ogni uomo trasforma la propria verità in una verità assoluta, quello che era vero per una persona doveva essere vero per tutti.

Quando Socrate comincia a parlare con gli altri cerca prima di tutto di mostrare che sono ignoranti. Per fare questo usa l’ironia, cioè i giochi di parole e le finzioni.
Socrate prima comincia facendo i complimenti all’altra persona per le sue idee, poi però comincia a fargli tante domande facendogli venire molti dubbi e dimostrando che le risposte che l’altra persona dà sono false. In questo modo l’altra persona prova rabbia e vergogna.
Socrate studiando le persone scopre che tutte le persone sono ignoranti ma pensano di essere colti (cioè con una grande cultura).
Socrate capisce che la differenza tra lui e gli ateniesi è che lui è ignorante e lo sa mentre gli altri sono ignoranti e non lo sanno. Quindi si parla di “dotta ignoranza”.

Nella Repubblica (altra opera di Platone) vediamo ad esempio un dialogo tra Socrate e un mercante di nome Cefalo. Socrate chiede “che vuol dire essere giusti?” e il mercante risponde “vuol dire restituire il dovuto”. Cefalo è un mercante e crede che comportarsi bene vuol dire che se ti do 10 soldi devi darmi una cosa che vale 10 e poi però generalizza, cioè pensa che questo principio vale sempre.
Allora Socrate chiede “se un mio amico mi presta delle armi, e poi impazzisce, io devo ridargliele o no? Se gli restituisco le armi quello può fare male a qualcuno o a se stesso”. Socrate dimostra che l’idea di giustizia di Cefalo vale solo in alcune situazioni, non vale sempre.
Socrate usa un metodo elenchetico, cioè fa l’elenco delle situazioni in cui la definizione non funziona.

Socrate non vuole insegnare qualcosa ma solo tirare fuori il ragionamento dagli altri. Socrate cerca di far “partorire” le idee dagli altri, così come sua madre aiutava le donne a partorire. L’arte di far partorire si chiama maieutica, quindi possiamo dire che Socrate usa la “maieutica” per portare le persone a tirar fuori dei ragionamenti.
La verità è una conquista personale, che ognuno fa per sé. La verità è un’avventura della mente.
L’educazione migliore è l’auto-educazione, cioè l’educazione che uno fa su se stesso.

Socrate nel suo dialogo con l’altra persona chiede sempre “che cos’è….?”, cioè chiede sempre definizioni. Un uomo parla di giustizia? Socrate chiede “e che cos’è la giustizia?” Un uomo parla di “bene”? E Socrate chiede “e che cos’è il bene?”.
Socrate non fa mai lunghi discorsi (chiamati in greco “macrologie”) ma sempre discorsi brevi, piccole frasi, battute (chiamati in greco brachilogie). Questo dialogo rapido demolisce (distrugge) l’altra persona. Quindi possiamo vedere i due aspetti del dialogo di Socrate:
– l’aspetto negativo: Socrate distrugge le idee dell’altra persona dimostrando che sono false o non esatte;
– l’aspetto positivo: Socrate spinge l’altra persona a pensare e ad arrivare a idee giuste.

Socrate usa il ragionamento induttivo. Il ragionamento induttivo è quello che parte da alcune cose particolari e cerca di tirare fuori un concetto o una regola generali.

Per i Greci la virtù era il modo di essere di qualcosa (ad esempio la virtù del ghepardo è la velocità, la virtù del leone è la forza ecc…). Quando si parla di uomini la virtù è “il modo migliore di essere uomo” e quindi il modo migliore di comportarsi.
I Greci pensavano che la virtù fosse qualcosa di “dato”, cioè si nasceva con la virtù. Per i sofisti, invece, la virtù è un valore che deve essere cercato e imparato. Quindi per i sofisti la virtù dipende dall’educazione.
Socrate dice che la virtù è ricerca e scienza. La virtù, per Socrate, è un modo di sapere, cioè un prodotto della mente.
Per Socrate per essere uomini nel modo migliore bisogna riflettere e pensare. Se si pensa si può capire cosa è giusto fare. Ma Socrate non dice che così capiamo ciò che è giusto in generale ma dice che così possiamo capire se “è giusto fare questa cosa qui” o se “è giusto fare quest’altra cosa”.

La virtù per Socrate può essere insegnata e comunicata a tutti. Non basta che ognuno sappia il suo mestiere (lavoro) ma deve anche sapere il mestiere di vivere.
La virtù per Socrate è unica perché tutte le virtù (coraggio, prudenza, giustizia ecc…) sono delle facce di un’unica virtù, che è la scienza del bene.

Socrate dice che i valori veri non sono legati a cose esterne come la ricchezza, la fama, la potenza, e i valori non sono legati neanche al corpo come la bellezza, la forza, la salute ecc… I valori più importanti sono quelli legati all’anima e sono i valori della conoscenza.
Socrate dice che solo l’uomo virtuoso è felice perché il non-virtuoso, che non ragiona, si abbandona agli istinti, alle passioni che con il tempo lo rendono infelice.
La virtù, cioè “l’arte di saper vivere”, dato che l’uomo è un essere sociale, cioè che è sempre con altri uomini, diventa “l’arte di saper vivere con gli altri”. La virtù diventa quindi politicità.

Socrate dice che chi fa il male lo fa solo perché non sa quale è il vero bene. Infatti ogni persona agisce pensando a ciò che “per lui” è bene. Quindi il male è figlio dell’ignoranza.

La morte di Socrate
I cittadini ateniesi si sentivano messi sotto accusa da Socrate e provano una duplice sensazione:
– irritazione perché Socrate faceva sempre domande
– senso di esclusione dalla verità
Socrate viene accusato di aver insultato gli dei della città, può pagare una multa e rimanere vivo ma se pagava una multa doveva ammettere che era colpevole. Socrate decide di non pagare la multa e accetta la condanna a morte. Dopo la condanna l’ Apologia di Socrate finisce. Quello che succede dopo lo sappiamo da altre opere di Platone:
nel Fedone: Socrate parla con Fedone, si parla dei 3 giorni dopo la condanna. Socrate parla dell’immortalità dell’anima. Lui va incontro alla morte con serenità perché pensa che l’anima non muore.
nel Critone: Socrate parla con Critone, si parla dell’ultimo giorno di vita di Socrate. Socrate discute con i suoi studenti del perché ha deciso di morire. Gli allievi cercano di convincerlo a pagare la multa o di fuggire ma Socrate rifiuta. Nasce un dialogo sul problema del rispetto delle leggi. Socrate dice che se la legge dice che deve morire, lui morirà. Critone dice che la legge è ingiusta ma Socrate dice che bisogna sempre rispettare le leggi in modo critico.
Non deve mai mancare lo spirito critico. Quando la legge è ingiusta abbiamo il dovere di criticare, e criticandola poi si può cambiare, ma dobbiamo comunque rispettarla. La legge serve per permettere la convivenza.
La mattina del terzo giorno gli ateniesi portano la cicuta (è un veleno) a Socrate e lui muore.
Socrate accetta di morire per restare fedele alle sue idee, lui sa di essere nel giusto, è convinto che esista un aldilà e sa che sarà ripagato per questo.
Socrate muore per la verità.
Platone è un allievo di Socrate e la sua morte sarà ciò che lo spinge a fare filosofia e soprattutto filosofia politica. La filosofia politica cerca un modo per costruire un altro stato. Lo stato che porta ingiustizia non può far vivere un uomo giusto.

Socrate non ha scritto nulla. Socrate diceva di sentire un demonietto che gli diceva che le cose che affermavano gli altri erano sbagliate.
La verità non è qualcosa che si possiede ma che si costruisce. La ricerca della verità non ha una fine, è un’evoluzione per questo non si può scrivere un libro di questa verità. La ricerca è infinita e la parola è libera, coinvolge le persone. Il testo scritto blocca questa ricerca.
Per conoscere la filosofia di Socrate dobbiamo quindi usare le testimonianze che sono:
– dirette (di chi ha vissuto con lui) → Platone, Seonofonte, Aristofane
– indirette (di chi non ha vissuto con lui) → Aristotele

Protagora

Nasce ad Abdera tra il 491 e il 480 a. C. E’ un sofista e fa l’insegnante ad Atene.
Nel 444 a. C. Pericle, che governava su Atene, decide di fondare una colonia a Turi (città vicino a Bari) e chiede a Protagora di fare le leggi di questa città. Però dopo Pericle c’è un governo di 400 persone che non è favorevole a Protagora per cui viene condannato per delle sue idee su Dio.
Nel 411 a. C. viene processato e, dato che è condannato a morte, sceglie l’esilio e se ne va in Sicilia. Nel viaggio verso la Sicilia, però, la sua nave affonda.
Delle sue opere rimangono pochi frammenti dato che sono state bruciate dal tribunale di Atene.

Protagora dice che l’uomo è la misura di tutte le cose: misura che cose che sono per quello che sono e misura le cose che non sono per quello che non sono.
Su questa idea ci sono tre interpretazioni.
– L’uomo come singola persona è misura delle cose che sente. Questo vuol dire che ogni uomo sente le cose in modo diverso, vede cose in modo diverso ed ha delle proprie idee. Ogni uomo vede la realtà in modo personale. (Umanismo = l’uomo è giudice della realtà).
– L’uomo come gruppo o comunità è misura dei valori che ha. Questo vuol dire che ogni comunità, ogni civiltà ha dei valori diversi. Quindi non esistono valori assoluti ma ogni gruppo crede in cose diverse, interpreta la giustizia in modo diverso ecc… E quindi gli uomini in questa comunità vedono le cose in base ad un pensiero comune (per gli italiani gli uomini possono sposare una donna sola ma per alcuni musulmani gli uomini possono sposare diverse donne ecc…). Gli uomini vedono la realtà così come viene pensata nella comunità. (Relativismo = la verità è relativa).
– L’uomo come umanità misura la realtà generale. Questo vuol dire che tutti gli uomini hanno qualcosa in comune, un pensiero comune, e con questo pensiero in comune sente la realtà. Gli uomini vedono la realtà così come appare ai loro occhi e quindi l’umanità può conoscere e condividere delle verità. (Fenomenismo = la realtà è come appare).
Dato che tutta la realtà è conosciuta in modo diverso dalle persone e dato che ognuno ha una sua idea di bene e di giusto, come facciamo a giudicare il comportamento degli altri? Ogni comportamento è giusto? Protagora dice di no. C’è un principio per scegliere. Questo principio è: “questo comportamento è utile a me e alla mia comunità?”, con questa domanda si giudicano i propri comportamenti e i comportamenti degli altri.
Il sofista, secondo Protagora, deve usare la parola per modificare le opinioni degli altri e spingerli a fare qualcosa di utile per la comunità.

Protagora ci parla anche del mito di Prometeo.
Quando gli dèi hanno creato tutti gli animali chiedono a Prometeo (che in greco vuol dire “colui che prevede” cioè che “vede prima le conseguenze”) ed a Epimeteo (che in greco vuol dire “colui che non prevede”) di dare a tutti gli animali delle qualità in modo da farli sopravvivere. Epimeteo distribuisce tutte le qualità, così alcuni animali sono grandi, altri animali sono veloci, alcuni sono coperti di peli contro il freddo, altri volano ecc…
Però Epimeteo si dimentica di dare delle qualità all’uomo. Così Prometeo vede che l’uomo è nudo, scalzo, indifeso e senza armi per potersi difendere. Allora Prometeo ruba ad Efesto il fuoco (Efesto era il dio del fuoco, per i romani si chiamava Vulcano) e poi ruba ad Atena la capacità di usare la tecnica (Atena la dea della sapienza e della tecnica, per i romani si chiamava Minerva) e li regala agli uomini. In questo modo gli uomini possono difendersi, crearsi armi e trovare il cibo da mangiare. Gli uomini poi cominciano ad usare la voce ed a parlare e comincia a ringraziare gli dèi ad a costruire delle immagini sacre. Però gli uomini continuavano a morire perché erano separati. Infatti gli uomini non avevano l’arte della politica e quindi non riuscivano a stare insieme.
Allora Zeus decide di agire e manda il dio Hermes per portare agli uomini il rispetto degli altri e la giustizia. Però mentre la tecnica non era stata data a tutti, dato che, per esempio, per molti uomini basta un solo medico, Zeus decide che tutti gli uomini devono avere giustizia e rispetto e quelli che non ce l’hanno devono essere cacciati dalle città.

Con questo mito Protagora ci parla di alcune verità: gli uomini non possono sopravvivere senza le arti tecniche e senza l’arte di vivere insieme e che queste due arti devono essere imparate perché non nascono negli uomini ma si devono praticare così come si impara una tecnica.
L’uomo diventa uomo solo entrando nella società e inventando le tecniche. Ma la società si deve basare su delle regole, cioè le leggi, ed ha bisogno della politica che è un’arte.
Mentre gli antichi pensavano che le leggi venivano dagli dèi Protagora dice che le leggi sono fatte dagli uomini ma bisogna rispettarle lo stesso perché altrimenti non esisterebbe la società.

Protagora poi dice che non si può dire se Dio esiste o non esiste perché questa conoscenza va oltre la possibilità che hanno gli uomini, per questo viene chiamato agnostico (viene dal greco “a” che vuol dire “non” e “gnosis” che vuol dire “conoscere”, quindi l’agnostico è chi dice che non si può avere una conoscenza di una cosa).

Per Protagora la parola è molto importante. Egli pensa che su ogni argomento si possono costruire due opinioni contrarie, questo vuol dire anche che ogni cosa può essere osservata da un altro punto di vista.

Gorgia

Nasce a Lentini, in Sicilia, tra il 490 e il 483 a. C. e sembra che sia morto dopo i cento anni.
Pare fosse figlio di un medico e che la sua famiglia fosse ricca.
La sua capacità oratoria (cioè la capacità di fare discorsi) lo ha reso famoso prima in Tessaglia e poi ad Atene. Spesso sfidava i cittadini a teatro chiedendo loro che gli facessero delle domande ed egli sapeva rispondere a tutto.
Tra i suoi allievi più famosi ci sono: Isocrate (uno storico), Crizia (uno dei 30 tiranni), Alcibiade (uno dei guerrieri più forti) e Tucidite (grandissimo storico).

Nell’Epitaffio ricorda ed elogia i soldati morti durante la guerra del Peloponneso.

Nella Difesa di Palamede attacca gli inganni di Ulisse.

Nel Non essere Gorgia scrive le sue tesi principali:
– Nulla c’è
– Se anche qualcosa c’è, l’uomo non lo può conoscere
– Se anche si può conoscere, non si può comunicare agli altri

Gorgia dimostra così la prima tesi:
Ammettiamo che qualcosa esista. Questo qualcosa sarà:
– o essere
– o non essere
– o un insieme di essere e non essere

Sappiamo che il non essere non è.
Ma anche l’essere non è, perché se fosse dovrebbe essere:
– o eterno
– o generato
– o eterno e generato insieme

Se è eterno allora: non ha principio, se non ha principio è infinito, se è infinito non è in nessun luogo, se non è in nessun luogo vuol dire che non esiste.

Se è generato dobbiamo dire da che cosa:
– non può essere generato dall’essere stesso, perché allora esisterebbe già
– non può essere generato dal non essere, perché il non essere non è.

Conclusione: l’essere non esiste.

Gorgia non dice che la realtà che abbiamo davanti non esiste, ma dice che non è possibile pensarla filosoficamente. Non si può parlare dell’essere generale, della Natura, del Principio.
Se questa struttura dell’essere generale esistesse, noi non la potremmo comunque conoscere. Infatti per conoscerla dovremmo pensare di avere in mente una fotografia della realtà ma noi pensiamo anche a cose che non esistono, quindi il nostro pensiero non fotografa la realtà.
Infine se si potesse conoscere la realtà generale non la si potrebbe comunicare perché il linguaggio è una cosa diversa dalla realtà (se tu dici “sasso” dalla tua bocca esce una parola non il sasso).

Nell’Encomio di Elena Gorgia difende Elena dall’accusa di essere la causa della guerra di Troia.
Gorgia dice che Elena ha fatto quello che ha fatto per:
– caso o volontà degli dèi. E’ andata a Troia perché l’hanno deciso gli dèi, quindi non poteva opporsi. Non era libera di scegliere e quindi non è responsabile dell’azione.
– Perché è stata rapita da Paride. La colpa quindi è del rapitore, quindi la responsabilità è di Paride.
– Perché è stata convinta dalle parole. Elena è giustificata perché la parola è in grado di cambiare lo stato d’animo delle persone. La parola non agisce sul piano logico ma sull’emotività (sulle emozioni). La parola è uno strumento di convinzione (cioè che serve a convincere). La parola convince perché affascina. Elena è stata quindi costretta dalla parola e non è responsabile.
Gorgia dice che la parola e la verità sono due cose diverse. La funzione del linguaggio è di convincere e non di mostrare la verità.
– Perché era innamorata di Paride. Quindi la divinità Amore aveva agito per farla innamorare e in questo caso la responsabilità è del Dio.
Gorgia quindi dimostra che Elena è innocente.

In realtà così sembra che tutto ciò che gli uomini fanno lo fanno per passione, per gli inganni, a causa delle situazioni. Gli uomini non sono mai colpevoli e non sono mai completamente responsabili dato che non sono veramente liberi.

I sofisti – Introduzione

Nascono tra il IV e il V sec. a.C. ad Atene. La città vive delle trasformazioni politiche: prima si sviluppa il regime democratico di Pericle, poi c’è una rivolta dell’aristocrazia con la tirannia dei 30 tiranni e poi una nuova democrazia.
C’è bisogno che i cittadini abbiano una preparazione politica.
Ogni persona vota direttamente le leggi, è una democrazia diretta (invece quando i cittadini votano i rappresentanti che votano le leggi è una democrazia delegata).
Bisogna ricordare che la società greca era divisa tra:
– schiavi, che non avevano diritti
– liberi, che non erano schiavi ma non avevano diritti
– cittadini, che avevano i diritti politici, cioè potevano votare (diritti attivi) e potevano essere votati (diritti passivi).
Erano solo i ceti più ricchi che avevano i diritti politici perché i cittadini dovevano avere tempo libero dal lavoro per fare politica. Così le famiglie ricche cominciarono ad interessarsi dell’educazione dei figli che potevano così far parte della vita politica. Per questo motivo presero degli insegnanti che furono chiamati sofisti.
Dal IV sec. a.C. la parola sofista prese un significato negativo, questo perché fino a quel momento la cultura aveva un valore sacro e il sapiente era colui che era superiore agli altri. Per questo motivo chi “vendeva” la cultura andava criticato.
Il filosofo Aristotele dice che i sofisti erano “insegnanti dell’apparenza”, dei bugiardi; mentre Senofonte dice che i sofisti parlano per imbrogliare e per guadagnare.

I sofisti non parlano molto della natura ma dell’uomo, della politica, delle leggi della religione ecc..

Si parla di dialettica: quando si parla di qualcosa con l’idea di arrivare a dire una verità.
Si parla di retorica: quando il discorso non contiene verità ma il suo obiettivo è di convincere gli altri. L’obiettivo dei sofisti è quello di insegnare la retorica, cioè di usare la parola per convincere.

I sofisti più famosi sono Gorgia e Protagora.

Zenone

Zenone è stato scolaro e amico di Parmenide. E’ nato nel 489 a.C. circa e muore torturato per aver cercato di uccidere un tiranno.
La filosofia di Parmenide era stata molto criticata. I critici di Parmenide sostenevano che se si afferma che la realtà è UNA si cade in molte contraddizioni (cioè si arriva allo stesso tempo a soluzioni che sono opposte).
Zenone risponde dicendo che se si sostiene che la realtà è molteplice (cioè formata da più unità) e mutevole (cioè che cambia) si arriva a soluzioni assurde.
Quindi Zenone non cerca di approfondire le teorie di Parmenide ma dimostra che le altre teorie non si possono sostenere.
Il metodo di Zenone è la dialettica: si parte dall’idea che quello che sostiene l’avversario è vero e poi si mostra che le conseguenze a cui si arriva sono impossibili; in questo modo si dimostra che è impossibile anche quello che l’avversario ha detto all’inizio.

Zenone scrive due argomenti contro la pluralità delle cose (cioè il fatto che le cose siano più di una) e quattro contro il movimento. Questi argomenti che arrivano a soluzioni impossibili vengono chiamati paradossi.
Paradossi della pluralità:
– Se le cose sono molte il loro numero è allo stesso tempo finito e infinito: finito (cioè preciso) perché le cose non possono essere più di quelle che sono; infinito perché tra due cose ci può essere sempre una terza in mezzo e anche tra la prima cosa e la terza ecc.. Quindi è una contraddizione.
– Se le cose sono formate da molte unità si arriva ad un’altra contraddizione: se queste unità non hanno una grandezza (non hanno una misura) allora le cose composte non hanno grandezza; se le unità che compongono le cose hanno una grandezza, le cose composte da infinite unità avranno infinita grandezza.
Paradossi del movimento:
– Paradosso dello stadio: per arrivare dall’altra parte dello stadio bisogna prima arrivare a metà, ma per arrivare a metà bisogna arrivare a metà della metà ecc… in questo modo non si arriverà mai dall’altra parte dello stadio.
– Achille e la tartaruga: la tartaruga ha un passo di vantaggio, prima di raggiungerla Achille dovrà raggiungere la posizione che prima aveva la tartaruga, che però ha fatto un altro passo ecc… in questo modo Achille non raggiungerà mai la tartaruga anche se la distanza diventerà sempre più piccola.
(Il paradosso si basa sulla infinita divisibilità dello spazio e del tempo che sono grandezze continue. Questo paradosso è rimasto così fino al ‘600 quando nasce il concetto di velocità e si crea il concetto di serie convergente.
Per uscire dal paradosso, infatti, bisogna considerare la velocità come spazio/tempo e considerare il tempo in una serie convergente, cioè una serie dove il limite è sempre un numero finito. Quindi è necessario conoscere già il concetto di numero integrale e di limite.
– Paradosso della freccia: la freccia appare in movimento ma in realtà è immobile. Infatti in ogni momento la freccia occupa uno spazio specifico e dato che il tempo è fatto da infiniti momenti in ogni momento la freccia sarà immobile. (Possiamo immaginare la pellicola di un film: le immagini sono ferme ma se vediamo un’immagine dopo l’altra ci sembrerà che ci sia movimento).
– Paradosso delle due masse nello stadio:in uno stadio c’è un punto che si muove in una certa velocità però allo stesso tempo va anche al doppio di questa velocità. Bisogna considerare se a misurare è un punto fermo o un punto che va nella direzione opposta. Il paradosso è che la metà del tempo è uguale al doppio. (E’ più facile pensare a due treni nella direzione opposta e un uomo fermo alla stazione: per l’uomo fermo alla stazione il treno 1 avrà una certa velocità, per l’uomo che è sul treno 2 l’altro treno sembra che vada ad una velocità doppia. Di questo concetto ne riparlerà poi Einstein).

Democrito

Democrito pensa che l’occhio del filosofo debba andare oltre l’apparenza e arrivare alla realtà autentica delle cose, perché la verità è in profondità.
Secondo Democrito la conoscenza: parte dalla percezione delle cose attraverso i sensi, si sviluppa attraverso l’analisi fatta dall’intelletto e dalla logica e arriva ad una teoria che spiega quello che i sensi mostrano. I sensi rimangono alla superficie delle cose mentre l’intelletto riesce ad arrivare alla verità del mondo: gli atomi, il vuoto e il loro movimento.
Le sensazioni non vengono da un contatto tra l’anima e le cose ma dal fatto che atomi piccolissimi (chiamati idola) si staccano dagli oggetti da cui provengono e portano con sé un’immagine dell’oggetto. Questi atomi entrano in contatto con i sensi, entrando nel corpo fino ad arrivare all’anima. Gli organi di senso sono solo dei canali di comunicazioni (cioè sono come delle porte).
La sensibilità è considerata passiva, cioè subisce l’arrivo di questi atomi senza cambiarli.
Quando arrivano all’anima gli atomi stampano nella mente questa immagine. La mente umana è una tabula rasa, cioè è come una tavola vuota.
La conoscenza avviene attraverso un metodo induttivo, cioè va dal particolare (la cosa) al generale (la teoria).
Per Democrito l’essere è il pieno, la materia e il non-essere è il vuoto, lo spazio in cui la materia si muove. La materia poi è composta da atomi, cioè da unità che sono indivisibili (atomo in greco vuol dire indivisibile).
Democrito arriva a pensare agli atomi attraverso la ragione, infatti egli pensa che solo in logica e in matematica si può dividere all’infinito, nella realtà non si può pensare di dividere il materiale all’infinito, altrimenti si arriverebbe al nulla. Quindi bisogna pensare che esistano delle unità che non si possono dividere, cioè gli atomi.

Gli atomi per Democrito sono pieni, immutabili (cioè non cambiano mai), ingenerati ed eterni. Gli atomi non sono differenti in qualità (cioè non hanno caratteristiche diverse) ma in quantità (cioè per forma e grandezza).
Tutte le caratteristiche dei corpi dipendono dalla figura degli atomi o dall’ordine e combinazione di questi.
Gli atomi sono immersi in uno spazio vuoto, perché, per Democrito, se c’è movimento ci deve essere per forza il vuoto.

Gli atomi si muovono in modo caotico (caotico viene da caos, disordine) in tutte le direzioni. In questo movimento si scontrano con altri atomi e danno origine ai corpi. Gli atomi sono infiniti e sono infinite anche le loro combinazioni. Per questo, secondo Democrito, esistono infiniti mondi e l’universo è uno spazio infinito.

La sostanza dell’universo è eterna e non può né aumentare né diminuire. Con Democrito si parla di materialismo: la materia è l’unica sostanza e l’unica causa delle cose. Anche l’anima è fatta di materia ed è diffusa in tutto il corpo e l’anima muore con il corpo.
Non si chiede perché e per quale ragione le cose esistono (questo sarebbe finalismo) ma si chiede come funzionano e come sono causate e la natura può essere spiegata attraverso la materia (gli aotmi) e il movimento (meccanicismo). Se gli dèi esistono non sono alla base dell’esistenza del mondo (ateismo).
Tutto ciò che succede nell’universo si basa su delle cause che lo producono (casualismo o determinismo).
Democrito sostiene che il linguaggio è convenzionale,cioè gli uomini decidono di dare agli oggetti dei nomi per farsi capire, si parla di nominalismo. Prima di Democrito si credeva che i nomi venivano dagli dèi.

L’origine della vita è il prodotto del caldo del fuoco solare. La terra prima era un corpo caldo che piano piano si è raffreddato e così si sono formate delle zone ricche di acqua. Con il calore del sole l’acqua si è riscaldata dando vita ad un “brodo primordiale”. All’interno di queste zone calde sono nati i primi esseri acquatici. Questi animali si trasformarono alcuni in uccelli e altri in animali terrestri. L’unione tra le varie specie popolò la terra.

Democrito non dà una teoria del bene ma scrive solo degli aforismi che indicano la via della saggezza.

Parmenide

Nasce ad Elea, una colonia greca sulla costa della Campania a sud di Paestum. Vive tra il 550 e il 450 a.c.
Scrive il suo pensiero in un’opera scritta in versi che oggi viene chiamata “Intorno alla natura”. Nella parte iniziale Parmenide immagina di essere in un carro tirato da cavalle di fuoco e in compagnia delle figlie del Sole. Questo carro lo trasporta davanti ad una Dea che gli rivela cosa è la verità.
In quest’opera, quindi, poesia e filosofia si mischiano.

Parmenide dice che di fronte all’uomo si aprono due vie: la strada verità (alètheia che in greco vuol dire ciò che non è nascosto), e la verità si fonda sulla ragione che ci porta a conoscere il vero Essere; e poi c’è la strada dell’opinione (doxa), che si basa sui sensi e ci porta a conoscere l’essere apparente.
Il filosofo, ovviamente, deve prendere la via della verità. Come è questa via? Parmenide parla dei due principi logici:
– il principio di identità; cioè una cosa è uguale a se stessa. A = A
– il principio di non-contraddizione: una cosa non può essere allo stesso tempo A e non-A
Fondandosi su questi principi Parmenide dice che l’Essere NON può NON essere; cioè l’Essere deve essere (A=A) mentre il non-essere (non-A) NON può essere (non-A è diverso da A).
Quindi solo l’essere esiste, mentre il non-essere, appunto, non esiste e non lo si può pensare.
L’essere è, il nulla non è. Pensare ed essere sono la stessa cosa.

Parmenide parla di come deve essere l’Essere. L’Essere deve essere:
– Ingenerato: cioè non generato, non creato. Se venisse creato, prima di nascere non sarebbe niente. Quindi sarebbe non-essere. E l’essere non può essere non-essere
– Imperituro: cioè non può morire, è immortale. Se morisse diventerebbe non-essere. Quindi rientrerebbe in gioco il non-essere.
– Eterno: cioè è sempre, esiste sempre. Infatti abbiamo visto che non è creato e non è distrutto.
Non puoi dire che l’essere ERA, perché vorrebbe dire che poi diventa qualcosa di diverso dall’essere (ma noi sappiamo che A=A) e non puoi dire che SARA’ per lo stesso motivo. Quindi l’essere E’. E’ sempre presente.
– Immutabile: cioè non muta mai, cioè non cambia mai. Se cambiasse diventerebbe qualcosa di diverso dall’essere, appunto.
– Immobile: cioè non si muove. Se si muovesse andrebbe in posti dove prima NON era. Quindi rientra in gioco il non-essere.
– Unico: ce ne è uno solo. Se fosse molteplice (cioè più di uno) vorrebbe dire che tra uno e l’altro c’è uno spazio, c’è un non-essere (perché in quello spazio non è né uno né l’altro).
– Omogeneo: cioè è uguale in tutte le sue parti. Se avesse delle parti diverse tornerebbe in gioco il non-essere. Infatti una parte NON sarebbe uguale all’altra.
– Finito: cioè con i confini. Questo perché per Parmenide e per i greci, ciò che è perfetto deve avere dei confini, deve essere completo e compiuto (con una fine).
L’Essere secondo Parmenide è NECESSARIO (cioè deve essere per forza così).

Che cosa è questo Essere di cui parla Parmenide? Non lo sappiamo con certezza. Per alcuni è una realtà metafisica (cioè va al di là dei sensi), per altri invece è una realtà corporea (cioè che ha un corpo), per altri invece è solo una costruzione logica.
Comunque dopo queste qualità verranno usate da altri pensatori per parlare di Dio.

Ma come è il mondo in cui viviamo? Dato che il mondo in cui viviamo ha a che fare con molte cose che si muovono, si distruggono, sono nel tempo e cambiano; quindi dato che il mondo non ha le stesse qualità dell’Essere questo vuol dire che è fatto solo di illusioni e apparenze (cose che appaiono ma non sono vere).
Nella seconda parte del suo poema, Parmenide parla dell’opinione (la prima parte del poema è dedicata alla verità).
Parmenide vuole dare una teoria del mondo dell’esperienza e dell’apparenza (cioè il mondo in cui viviamo).
Parmenide quindi dice che ci sono:
– La verità assoluta; che abbiamo già visto.
– L’opinione ingannevole, cioè che fa sbagliare (viene chiamata doxa fallace); include il non-essere, quindi è contro il principio di non-contraddizione.
– L’opinione plausibile, cioè che potrebbe essere; questa opinione non si scontra con in principio di non-contraddizione.
Come è possibile l’opinione plausibile? Parmenide dice che due cose che si oppongono (come la luce e la notte) sono tutte e due essere. Non è che la luce E’ e la notte NON-E’. Sono tutte e due essere. Quindi questi due opposti, in realtà, vengono uniti nell’essere, che è ciò che hanno in comune.
Da questo mondo di cose apparenti Parmenide arriva ad escludere la morte, che sarebbe non-essere. Infatti dice addirittura che il cadavere (il corpo del morto) sarebbe sensibile al freddo e al silenzio.

Comunque dobbiamo sempre ricordarci che questo è il mondo dell’opinione e non della verità assoluta.

Eraclito

Eraclito visse a Efeso, nella Ionia, tra il Vi e il V secolo a. C. La città di Efeso era vicina a Samo, dove c’era Pitagora. Della sua vita non si conosce molto. Sappiamo che veniva da una famiglia aristocratica e ricca. La sua era la famiglia più importante di Efeso ed aveva molti privilegi (vantaggi che solo la sua famiglia aveva). Uno dei più grandi privilegi era la scelta del Basileus che era re e sacerdote allo stesso tempo. Si dice che Eraclito rifiutò di diventare Basileus e lo abbia fatto fare al fratello. Poi però c’è una rivolta democratica, cioè il “demos” (in greco vuol dire popolo) si rivolta e il potere non è più di una famiglia sola e il titolo di Basileus non ha più valore.
Aristocrazia viene dal greco “aristo” e “kratos” che vuol dire “governo dei migliori”, ed erano chiamati “migliori” perché si diceva che erano in contatto con Dio.
Scrive un’opera, chiamata Intorno alla natura, fatta di aforismi (frasi brevi in cui si dice un pensiero) e molti di questi sono molto difficili da capire, sono misteriosi.
Per Eraclito c’è una grande differenza tra la filosofia, che dice la verità, e quello che pensano normalmente gli uomini, che chiama errore. Eraclito dice che la maggior parte degli uomini vive come in un sogno, in un’illusione, e non sono capaci di capire le vere leggi del mondo che c’è intorno. Questi uomini sono chiamati “dormienti”. Gli “svegli” sono i filosofi, che vanno al di là delle apparenze e riescono a capire la verità delle cose.
Dice che la verità è unica e vale per tutti ma molti preferiscono vivere con la propria verità. In questo modo anche se tutti possono pensare, solo alcuni arrivano alla verità e solo questi possono comandare, secondo Eraclito. Quindi preferisce un governo aristocratico.
Il filosofo vero è quello che riesce ad abbandonare il mondo delle idee comuni e sa riflettere in solitudine cercando nella propria anima.
Filosofo vero è chi riesce a superare il livello superficiale e vedere le cose nel loro insieme.
Filosofo vero è chi riesce a vivere in modo diverso dai gusti e dalle scelte degli uomini volgari.

Eraclito pensa al mondo come un continuo “divenire”, come un fiume che scorre sempre, Eraclito scrive “panta rei” cioè “tutto scorre” ed anche le cose che sembrano ferme in realtà cambiano sempre, come le acque nel fiume che mentre lo guardiamo già sono diverse. Il fiume rappresenta l’immagine del passare del tempo che non si ferma mai.

Ma cosa c’è dietro il “divenire”? Eraclito dice che c’è una segreta legge del mondo e cioè che le cose contrarie sono unite. Infatti anche se le cose contrarie lottano tra di loro non potrebbero esistere da sole. Quindi anche se le cose opposte sembrano in disordine in realtà, in questo modo, sono ordinate e questo ordine è il Logos. Noi vediamo che tutto cambia e tutto scorre ma la legge nascosta è quella dello scontro che in greco si dice “pòlemos”.
L’armonia del mondo è nell’accordo tra i contrari e la vita è fatta di lotte e scontri, senza di queste lotte e scontri ci sarebbe la morte e la distruzione.
Ma cosa c’è dietro il “polemos”? Eraclito dice che alla base dello scontro c’è il fuoco, che in greco si dice “pur”. Quindi il principio di tutte le cose è il fuoco, che cambia e distrugge. Tutto quello che esiste viene dal fuoco per rarefazione e condensazione: quando si condensa diventa acqua e poi terra.
Eraclito dice che la natura ama nascondersi e infatti la vera natura di tutte le cose è il fuoco, questo è il vero archè. Anche l’anima ha dentro di sé il fuoco.
Eraclito dice che il fuoco è come Zeus che è il padre degli dèi. La divinità è una maschera che ci fa capire che c’è il fuoco. Zeus regola il fuoco con il fulmine e per questo con il fulmine si governa ogni cosa.
Dio è in tutto l’universo ed è questa unità dei contrari. Dato che Dio è tutto e tutto è Dio si può parlare di panteismo. Questo Dio-tutto è una realtà che esiste sempre e per sempre e quando l’universo si distrugge poi si crea di nuovo.
Anche Eraclito crede nella reincarnazione dell’anima. Il corpo è una prigione che non permette di conoscere la verità che si trova nell’anima.

Pitagora

Pitagora nasce a Samo, in Asia minore, ma passa molto tempo a Crotone.
Sembra che Pitagora non abbia scritto nulla.
La scuola di Pitagora era una scuola con accesso chiuso, cioè dove non si poteva entrare liberamente. All’interno di questa scuola gli insegnamenti potevano essere detti solo ai matematici.
Questi insegnamenti venivano spiegati con Pitagora dietro una tenda, quindi gli altri lo potevano solo ascoltare.
Gli insegnamenti Pitagorici furono creati probabilmente non da Pitagora ma dai membri della sua scuola.
La relazione tra Pitagora e i suoi studenti faceva in modo che nessuno poteva mettere in dubbio quello che Pitagora spiegava e sembra che nella scuola ci fosse un motto (una frase che si diceva spesso): “ipse dixit”, cioè “l’ha detto lui”.
I membri della scuola credevano che Pitagora parlasse in nome del dio Apollo perché si diceva che avesse imparato i propri insegnamenti attraverso Temistoclea, che era una sacerdotessa (come un prete) di Apollo che si trovava a Delfi (città greca).
C’erano due tipi di dottrine (insegnamenti):
– Dottrine esoteriche, che potevano essere conosciute solo da quelli che erano stati scelti e che rimangono segrete
– Dottrine essoteriche, che potevano essere conosciute da tutti.
Dopo gli otto anni di silenzio si diventava matematici e si poteva conoscere le dottrine esoteriche.
Quando si entrava nella scuola si metteva in comune tutto ciò che uno aveva.
La struttura della scuola pitagorica va in crisi quando vengono scoperti i numeri decimali.
La scuola pitagorica vuole andare oltre il teorema di Pitagora per cercare una relazione tra il cateto e l’ipotenusa. Questa relazione dicevano che era incommensurabile, cioè non si poteva dire con un numero. I membri della scuola di Pitagora non pensavano che un numero potesse essere decimale
Il numero rappresentava il punto geometrico, e il punto geometrico è la parte più piccola dello spazio quindi dividere il numero significava dividere il punto ma per loro non si poteva. Infatti non si può dividere la parte che è già la parte più piccola che esista.
La scuola pitagorica capisce di aver fatto un errore. Il credere nel numero intero è falso e l’aritmogeometria, cioè la geometria che si basa sull’aritmetica, è sbagliata perché non esistono solo numeri interi.
Ippaso di Metaponto è un matematico che dimostrerà la relazione tra ipotenusa e e cateto e da quel momento l’aritmetica e la geometria vengono separati.

Secondo i Pitagorici l’uomo era formato di psyche (anima) e soma (corpo). I Pitagorici dicevano che il corpo è la tomba dell’anima. Il corpo rende impura (sporca) l’anima. Il corpo è una prigione e la vita è come una punizione. L’anima doveva purificarsi e la filosofia era un modo per farlo, l’altro modo per purificarsi erano le pratiche ascetiche, cioè attraverso azioni che allontanavano l’uomo dalla realtà dei sensi (quindi l’uomo resta senza mangiare, senza bere, da solo perché il contatto col mondo lo sporca).
I desideri allontanano l’uomo dalla conoscenza. Il corpo distrae l’uomo dalla ricerca della verità.
I Pitagorici pensavano che quando una persona moriva l’anima si liberava del corpo. Dopo la morte l’anima poteva reincarnarsi (cioè andare in un altro corpo) oppure poteva arrivare ad una condizione divina (cioè poteva essere come un dio). Le pratiche ascetiche permettono di arrivare ad una condizione divina, se non si fanno pratiche ascetica l’anima resta più attaccata al corpo e quindi dopo la morte si reincarnava.
Questo passaggio dell’anima viene chiamato metempsicosi.
L’anima si reincarnava anche perché aveva una colpa originaria da pagare e quindi si reincarnava per purificarsi.

Per Talete la terra era un disco piatto che galleggiava sull’acqua. Per Anassimene era un disco piato che galleggiava sull’aria. Per i Pitagorici è diverso. Per i Pitagorici la Terra è una sfera, perché secondo loro la sfera è la figura geometrica più perfetta.
Secondo Filolao, un pitagorico, i corpi celesti (i pianeti) sono in tutto 10 e girano intorno ad un corpo infuocato (in fiamme) che è il centro dell’universo.
Abbiamo la Terra, la Luna, il Sole, i cinque pianeti conosciuti, l’Antiterra e il cielo delle stelle fisse. Questi pianeti non si muovono da soli ma sono incastrati su un corpo infuocato.
La struttura aristotelica è quasi identica solo che Aristotele mette la Terra al centro al posto del fuoco.

I Pitagorici per la prima volta dicono che i sensi sono legati al cervello e non al cuore.

I Pitagorici pensavano che il numero era la sostanza delle cose. Il numero era pensato come un insieme di unità e l’unità era pensata come il punto geometrico.
Quindi se tutte le cose sono numeri allora tutto è ordinato e si può misurare. Il mondo ha un ordine geometrico.
Le opposizioni tra le cose diventano così opposizioni tra numeri. I numeri possono essere pari o dispari e questo scontro tra pari e dispari si può vedere in tutte le cose.
I Pitagorici pensano che il dispari sia qualcosa di limitato, quindi con dei limiti, compiuta, finita e perciò perfetta mentre il pari è qualcosa di illimitato, senza limiti.
Per i Pitagorici si parla di dualismo, perché ci sono due principi che si scontrano.
L’ordine, il bene, la perfezione e il maschile sono dalla parte del dispari mentre il disordine, l’imperfezione e il femminile sono dalla parte del pari.
Questi elementi opposti però trovano un loro accordo dato che nel mondo c’è il principio di armonia. Dato che la scienza dell’armonia è la musica, i rapporti musicali rappresentano l’armonia universale.
Le idee matematiche vengono usate anche per interpretare l’uomo e il rapporto con gli altri. Ad esempio si dice che la giustizia è un numero quadrato perché dà le punizioni uguali alle colpe.

Scuola ionica o di Mileto

Si chiama scuola di Mileto perché questi filosofi vivono nella città di Mileto, in una parte della Grecia che si chiama Ionia. I tre autori fondamentali di questa scuola sono:
– Talete, è il fondatore ed è considerato il primo filosofo della storia
– Anassimandro
– Anassimene
Tutti e tre sono cosmologi, cioè studiano la metafisica, quindi studiano i principi del mondo.
Fino a Platone tutti gli autori sono chiamati presocratici, poi c’è Socrate (“pre-” vuol dire “che viene prima”, quindi “presocratici” vuol dire “che vengono prima di Socrate”). La novità di Socrate è che si occupa soprattutto dell’uomo mentre i presocratici si occupano soprattutto della natura e della realtà. Socrate però non ha mai scritto niente.
Bisogna dire che Socrate non è stato il primo ad occuparsi dell’uomo anche se è stato il più importante, infatti prima di lui lo ha fatto un altro gruppo di filosofi chiamati “sofisti”, quindi per questo i presocratici sono anche chiamati presofisti.
Di tutta la filosofia fino a Platone non ci restano le opere ma solo frammenti (piccole parti).
I frammenti vengono divisi in tre tipi indicati con le lettere A, B, C, D:
– A → sono biografici
– B → sono opere, scritti proprio dall’autore
– C → sono spuri, cioè si è pensato per un periodo che erano di un autore e poi dopo si è pensato che erano di altri
– D → sono dubbi, non siamo sicuri che siano dell’autore
Il contenuto di questa classificazione può cambiare perché i frammenti di un tipo poi possono diventare di un altro tipo (frammenti di tipo B possono diventare di tipo D ecc…).

Talete

Nasce a Mileto fra il VII e il VI secolo a. C., non sappiamo con precisione quando è nato. Non si sa nulla delle origini della sua famiglia ma sappiamo che il padre si chiama Examio e che era anche lui di Mileto.
Erodoto attribuisce a Talete (cioè dice che è sua) la previsione di un’eclissi totale di sole avvenuta intorno al 585 a. C., quindi la vita di Talete è intorno a questi anni.
Non ci sono opere scritte perché pare che in Grecia la scrittura si cominciasse ad usare intorno al VII secolo a. C.

Talete diceva che il principio di tutto è l’acqua. Perché l’acqua?
In Grecia si pensava che la natura si basasse su quattro elementi naturali: aria, terra, fuoco e acqua.
Talete afferma che il principio primo è l’acqua, cioè l’acqua è l’archè.
Talete ha usato la sensibilità per dire che l’acqua è l’archè. Talete parte dal fenomeno.
Fenomeno vuol dire “ciò che appare”.
Talete viene chiamato “empirista”, gli empiristi pensano che il mondo esterno può essere studiato solo attraverso i sensi.
Talete parte dall’osservazione: tutto ciò che senza vita è secco mentre tutto ciò che è vivo contiene acqua. Quindi l’acqua deve essere l’origine di tutto, l’archè.
L’acqua è sostanza. La parola sostanza viene dal latino “sub” e “stare”, cioè vuol dire “stare sotto”.
L’acqua è sostanza in due modi:
– dal punto di vista fisico: la Terra si trova sopra l’acqua.
– in senso astratto (cioè non-reale, pensato): l’acqua sostiene il mondo perché se non ci fosse l’acqua il mondo non esisterebbe.
Aristotele (un altro filosofo che viene molto dopo Talete) critica Talete perché si chiede: l’acqua su cosa si sostiene?

Talete si occupa anche si psicologia. La parola psicologia viene da “psyche” (si legge psiuche) che vuol dire “anima” e “logos”; quindi la psicologia è il discorso sull’anima.
Per Talete l’anima è la capacità di muovere. Tutto il mondo è animato, quindi si parla di panpsichismo, dove “pan” vuol dire tutto; quindi si crede che tutto ha un’anima. Il panpsichismo viene anche chiamato, per questo, animismo.

Anassimandro

Dopo la morte di Talete è probabile che la scuola ionica sia passata nelle mandi di Anassimandro verso la metà del VI secolo a. C. (611 e 547 a. C.). Anassimandro divenne famoso perché pare che sia stato il primo filosofo a rendere pubblico un suo scritto che si chiamava Intorno alla natura.
Di questa opera abbiamo solo frammenti.
Anassimandro sembra essere stato il primo a introdurre la parola “archè” per indicare il principio delle cose.

Per Anassimandro l’archè è l’infinito, in greco to apeiron. Apeiron viene da “a” che vuol dire senza e “peiron” che vuol dire limiti. Quindi sarebbe meglio dire che l’archè per Anassimandro è l’illimitato (cioè senza limiti).
L’archè non è più l’acqua e si inizia a pensare che l’archè può essere qualcosa di non materiale, cioè qualcosa che non si tocca, che non si può toccare.
Anassimandro non sceglie uno dei quattro elementi ma dice che prima dei quattro elementi c’è un’altra natura. L’apeiron è in continuo movimento e da questo si staccano gli elementi contrari: acqua e fuoco, terra e aria. I quattro elementi si staccano a coppie. Quindi la realtà viene generata attraverso la separazione.
L’apeiron non è solo archè ma è anche telos, quindi c’è una visione circolare dell’universo.
Per Anassimandro ci possono essere infiniti mondi perché l’apeiron non si ferma mai e può creare più mondi contemporaneamente. Il movimento dell’apeiron è rotatorio (cioè circolare). Questo movimento è chiamato Logos.
Il logos, cioè la parola, l’ordine e la legge, è quello che governa la physis, cioè la natura.
Logos può essere anche inteso come il discorso che comunica la legge, quindi si afferma che questa legge può essere capita ed essere spiegata.
Nella sua cosmologia il mondo è ordinato e dà ordine.
L’apeiron poi è eterno, cioè dura per sempre ed è indistruttibile, cioè non si può distruggere. Per questo è divino.
Aristotele critica Anassimandro perché Anassimandro non dice di che cosa è fatto l’apeiron.
Il logos ci dice come l’archè diventa natura, come la natura diventa telos e come il telos ritorna alla natura.
L’ordine del tempo è stabilito dal logo. Gli esseri seguono il logos.
Quando si arriva alla fine del mondo gli esseri pagano anche per le colpe che hanno fatto.
Ogni essere quando muore perde la capacità di agire. Ogni essere ha un tempo determinato (preciso) di vita.
Quando un essere esiste non può non degenerare (distruggersi). L’esistenza fa in modo che un oggetto sia inserito nello spazio e nel tempo a differenza dell’essere che non ha né l’uno né l’altro.
L’essere quando entra nell’esistere è soggetto al tempo, cioè deve seguire le regole del tempo e quindi è costretto a seguire la corruzione, cioè la sua distruzione (l’essere quando esiste invecchia, si modifica, si distrugge). Questa condizione, cioè il fatto di dover seguire il tempo, viene cancellata con la morte.
Per Anassimandro la Terra è un cilindro sospeso nel mezzo del mondo e non è tenuto da niente, infatti essendo in mezzo non è spinto ad andare da nessuna parte.
Per Anassimandro gli uomini non sono nati così in natura, infatti non avrebbero potuto sopravvivere, quindi pensa che gli uomini vengano da altri animali, specialmente dai pesci. Dopo che i pesci hanno dato da mangiare agli uomini, gettano questi sulla terra.

Anassimene

Anassimene è considerato l’ultimo esponente della scuola di Mileto.
In alcuni testi viene scritto sulla sua nascita intorno al periodo della 53esima olimpiade e morte intorno alla 63esima. I Greci spesso calcolavano il tempo in base alle olimpiadi che erano dei giochi molto importanti ed erano regolari. Quando c’erano le olimpiadi anche le guerre venivano interrotte e non si combatteva fino alla fine dell’olimpiade.
Pensiamo che la 53esima olimpiade ci sia stata nel 560 a. C. o nel 546 a. C. mentre la 63esima dovrebbe essere tra il 528 e il 525 a. C.
Anassimene alla morte di Anassimandro è diventato il direttore della scuola di cui rimangono pochi frammenti.
Anassimene pensa che l’archè sia l’aria. L’aria è infinita in grandezza ma è determinata dalle sue qualità.
L’aria diventa gli altri elementi attraverso la rarefazione (cioè diventato più aperta, leggera, allargandosi) e la condensazione (cioè restringendosi).
Con una maggiore rarefazione diventa fuoco mentre con la condensazione diventa prima acqua e poi terra e il resto.
Anche Anassimene pensa che il movimento sia eterno e con questo movimento si trasforma tutto. Il mondo poi si distruggerebbe e si creerebbe in maniera regolare e circolare.
Anassimene dice che come la nostra anima, che è aria, ci tiene insieme, allo stesso modo il soffio e l’aria abbracciano tutto il mondo.
Se l’anima è pensata come aria, vuol dire che è pensata come materia. In questo modo torniamo ad una concezione materialista. Il materialismo è un’idea filosofica che afferma che un principio materiale può spiegare nello stesso tempo i fenomeni fisici della natura e quelli psichici dell’anima.
Se l’anima è pensata come aria abbiamo anche una visione ilozoista. Ilozoista viene dalla parola “hylè” (si legge iulè) che vuol dire “materia” e “zoè” che vuol dire “animale”. Una filosofia è ilozoista quando si considera l’universo come se fosse un animale.
Anassimene è poi un immanentista. Immanente viene dal latino “in” che vuol dire “dentro” e “manere” che vuol dire “rimanere”, immanente è ciò che rimane dentro. Infatti il principio di Anassimene rimane dentro l’universo che crea, non è qualcosa che viene da fuori e lo crea.
Il contrario di immanente è trascendente, e “trascendere” vuol dire “andare oltre”.
Anassimene è chiamato anche “monista”. Monista viene da “monos” e vuol dire “uno”

Filosofia – Introduzione

La filosofia occidentale nasce in Grecia. La parola “filosofia” viene dal greco e vuol dire “amore per la sapienza”

Philein (si legge filein) → amare
Sophia (si legge sofia) → sapienza

La filosofia è un’indagine (ricerca) sul senso (significato) del mondo e della nostra esistenza e vita. La filosofia nasce quando le persone cominciano a chiedere perché esistono.
La filosofia chiede “perché”, le altre materie chiedono “come”.
La filosofia è una ricerca razionale di senso. Razionale vuol dire con la ragione.
L’uomo ha delle “facoltà conoscitive”, cioè degli strumenti con i quali può conoscere il mondo che ha intorno. La gnoseologia si occupa dello studio di queste facoltà. La parola gnoseologia viene da “gnosis” che vuol dire conoscenza e “logos” che vuol dire “parola, discorso, legge”; la gnoseologia è quindi lo studio del “come l’uomo conosce”.
Nell’uomo ci sono tre facoltà conoscitive:
– Sensibilità: tutti i cinque sensi (vista, tatto, olfatto, udito, gusto). Con la sensibilità si percepisce (si sente) l’esistenza.
– Intelletto: ci fa tradurre (trasformare) un’immagine in un concetto. Il “concetto” è il nome che si dà ad un insieme di oggetti. L’intelletto lega i concetto per elaborare (creare) dei giudizi. Ad esempio “la mela è rossa” in filosofia è un giudizio.
– Ragione: serve ad elaborare dei pensieri

La filosofia studia tante cose diverse in base all’oggetto studiato, cioè in base a ciò che prova ad analizzare.
Il primo ambito (la prima parte) è chiamato “metafisica”, cioè è lo studio dei principi primi, che sono i principi da cui viene tutto. Metafisica viene dal greco “metà” che vuol dire “oltre” e “physis” (si legge fiusis) e vuol dire natura, mondo; quindi la metafisica è ciò che è oltre la natura che vediamo.

La metafisica si divide in:
– Cosmologia: la parola viene da “cosmos” che vuol dire “mondo” e “logos” che vuol dire “discorso” o “legge”. Quindi la cosmologia è la ricerca dell’origine del mondo.
– Ontologia: la parola viene da “onto” che vuol dire “essere” e “logos”. Quindi l’ontologia è il discorso sull’essere.
– Teologia: la parola viene da “Theos” che vuol dire “Dio” e “logos”. Quindi la teologia è il discorso sulla divinità.

I primi filosofi greci credevano nell’esistenza di un principio da cui veniva tutto. Per parlare di questo principio si usa la parola greca “Archè”. Credevano che il principio di tutto fosse in natura, quindi nella physis.
Nella prima cosmologia non si può parlare di “creazione” perché non c’è un Dio che crea ma si pensava che c’era un elemento naturale (acqua, fuoco, aria) che fosse fondamentale e che era usato per spiegare tutto il resto.
La metafisica poi si domanda: perché esiste la natura? Quale è il suo scopo/fine? (“scopo/fine” in greco si dice “telos”).

Quindi nei primi filosofi dobbiamo cercare:
– Archè: l’origine del mondo
– Physis: come si è sviluppata la natura
– Telos: dove porta, dove si arriverà, cosa succederà. Il fine e lo scopo del mondo.
A volte poi succede che la fine riporta all’inizio, come in un cerchio. Questa visione viene quindi chiamata circolare (ad esempio molti pensano che c’è la fine del mondo ma poi dopo rinasce).

Un altro ambito della filosofia è quello etico-politico. Qui la filosofia cerca di elaborare le norme (leggi) che dirigono il comportamento umano.
Questo ambito è composto (fatto) da:
– Morale / Etica → fino al 1821 (con il filosofo Hegel) morale ed etica erano una sola disciplina, poi diventano due.
– Politica
La morale è quella parte della filosofia che studia le norme che regolano il comportamento umano. Queste norme hanno:
un valore soggettivo → ognuno impone a se stesso le proprie norme e queste hanno valore solo per lui.
Sanzione (giudizio) interiore → se la sanzione è negativa ci si sente in colpa.
Le morali possono essere di due tipi:
– Morali prescrittive: “prescrivere” significa dire ciò che uno deve fare. Si dice quale è il bene o in fine che devo raggiungere e poi si elaborano le leggi che ci portano a quello scopo. Il bene o il fine che si vuole raggiungere ha un valore assoluto, cioè è valido per tutti. Le morali prescrittive sono morali impositive, cioè obbligano a seguire quelle leggi.
– Morali descrittive: nelle morali descrittive il bene e le norme sono soggettive, cioè valgono solo per le persone che le seguono, non per tutti.
Nell’etica la persona segue le leggi dello Stato perché è convinto che sono giuste. Segue delle leggi “esterne” ma le sente come le sue leggi morali.

La politica si occupa delle leggi intersoggettive, cioè quelle leggi che regolano i rapporti tra le persone. La sanzione negativa, cioè la punizione, in questo caso è esteriore, cioè viene da fuori di noi.
Le leggi dello Stato servono a frenare i comportamenti violenti che si possono creare tra le persone.
La Costituzione (che è un insieme di leggi) è la legge primaria dello Stato, cioè la più importante.

La differenza tra la politica e il diritto è che la politica si domanda “chi ha il potere?” mentre il diritto si occupa delle norme che caratterizzano chi ha il potere.

La filosofia occidentale nasce in Grecia e il primo filosofo è considerato Talete. Prima di Talete si cercava di spiegare la realtà attraverso il mito. Il mito (dal greco mythos, si legge miutos) è un racconto che ha carattere sacro (e non religioso) perché tutti i miti hanno valore sacro ma non tutti hanno un valore religioso.
Il sacro è lo straordinario, cioè è qualcosa è “fuori dal normale” (dal latino “extra”, che vuol dire “fuori” e “ordinario”, cioè “normale”). Il sacro fonda la realtà, cioè ordina la realtà e dà significato alla vita delle persone.
Il mito spiega perché la vita quotidiana va avanti in un modo preciso.
Il sacro salva l’uomo dal caos, dal disordine.
Il mito contiene il sacro, cioè contiene la spiegazione del perché accadono determinati eventi. Il mito serve a spiegare tutti i momenti importanti della vita umana.
La filosofia cambia questo sistema perché cerca di dare una spiegazione con la ragione e non con il mito.
Quindi si passa dal Mythos al Logos, dal racconto fantastico alla spiegazione razionale.

Movesi il vecchierel canuto e bianco

Testo:

Movesi il vecchierel canuto e bianco
del dolce loco ov’ha sua età fornita
e da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi traendo poi l’antiquo fianco
per l’estreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, e dal cammino stanco;

e viene a Roma, seguendo ‘l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch’ancor lassú nel ciel vedere spera:

cosí, lasso, talor vo cerchand’io,
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.

Parafrasi:

Si muove il vecchietto canuto (bianco) e bianco
dal dolce luogo dove ha trascorso la sua vita
e dalla sua famiglia sbigottita (scioccata)
dal vedere l’amato padre partire;

Quindi trascinando il vecchio fianco
per gli ultimi giorni della sua vita
si aiuta, quanto può, con la sua buona volontà,
distrutto dall’età e stanco per aver camminato.

E viene a Roma seguendo il desiderio
di vedere l’immagine di colui
che spera poi di vedere anche in cielo.

Allo stesso modo, purtroppo, io cerco,
o donna, l’immagine desiderata della vostra bellezza,
quanto è possibile in altre donne.

Spiegazione:

Petrarca si paragona ad un vecchio che va a Roma per vedere l’immagine di Gesù mentre egli cerca Laura.
Mentre il vecchio ha un motivo religioso Petrarca non ce l’ha.
Il vecchio cerca nell’immagine sacra il volto di Cristo mentre Petrarca cerca in altre donne il volto di Laura.
C’è un contrasto tra il movimento descritto nelle prime strofe e il ragionamento dell’ultima strofa.
Il vecchio è anche immagine della vita umana.
Inoltre mentre il vecchio guarda ormai alle cose del cielo, il il giovane guarda ancora alle cose terrene.

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi

Testo:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
Che ‘n mille dolci nodi gli avolgea,
E ‘l vago lume oltra misura ardea
Di quei begli occhi ch’or ne son sì scarsi;

E ‘l viso di pietosi color farsi,
Non so se vero o falso, mi parea:
I’ che l’esca amorosa al petto avea,
Qual meraviglia se di subito arsi.

Non era l’andar suo cosa mortale
Ma d’angelica forma, e le parole
Sonavan altro che pur voce umana;

Uno spirto celeste, un vivo sole
Fu quel ch’i’ vidi, e se non fosse or tale,
Piaga per allentar d’arco non sana.

Parafrasi:

I capelli d’oro erano sparsi nell’aria
che li avvolgeva in mille dolci nodi
e la luce bruciava intensamente
in quegli occhi che ora non l’hanno più;

Mi sembrava, non so se è vero o falso
che il suo viso si mostrasse pieno di compassione:
E io che ero pronto per innamorarmi
non vi meravigliate se il mio cuore bruciò subito.

Il suo camminare non sembrava una cosa mortale
ma di un angelo, e le parole
suonavano diverse dalla voce umana.

Uno spirito celeste, un sole vivo
è quello che ho visto, e se ora non fosse più così
la mia felicità non guarirebbe così come non guarisce una ferita di una freccia anche se si rende più lenta la corda che l’ha lanciata.

Spiegazione:

Petrarca parla del suo innamoramento per Laura.
Vediamo l’immagine di una Laura in tutta la sua bellezza.
Il fatto che Laura venga paragonata ad un angelo ci ricorda lo stile stilnovista.
Questa volta però vediamo anche l’effetto che ha il tempo su di lei: la donna appartiene al passato.
La bellezza di Laura viene così cambiata e distrutta dalla forza del tempo.
Parte da un’immagine del passato (erano, avvolgeva, ardeva…) e poi passa al presente → ora sono…
Gli occhi di Laura non hanno più luce perché è invecchiata, la donna dello stilnovo non invecchiava.
La ferita dell’amore è simile alla ferita di una freccia.
Laura, inoltre, non ha il potere della Beatrice di Dante, non innalza l’uomo a Dio. In questo sonetto non c’è riferimento a Dio.

Solo e pensoso i più diserti campi

Testo:

Solo e pensoso i più diserti campi
vo mesurando a passi tardi e lenti,
e li occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio uman l’arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché ne li atti d’allegrezza spenti
di fuor si legge com’ io dentro avampi.

Sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
e fiumi e selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né si selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, e io con lui.

Parafrasi:

Solo e pensieroso cammino con lentezza
per i campi più deserti
e giro lo sguardo per sfuggire luoghi
dove si vedono tracce umane.

Non trovo altro riparo che mi salvi
dal fatto che gli altri si accorgano della mia condizione
perché negli atti tristi che compio
si vede da fuori come io bruci dentro.

Così io credo ormai che monti e campagne,
fiumi e boschi sappiano già di quale tipo
sia la mia vita che nascondo agli altri.

Tuttavia non riesco a trovare strade così aspre e difficili
in modo ch el’amore non mi segua
parlando con me e io con lui.

Spiegazione:

Si parla della solitudine che deve salvare il poeta dalla vergogna di rivelare agli altri uomini come si sente dentro.
Anche se fugge gli uomini, sembra che anche la natura si interessi di lui.
La scena è fuori dallo spazio e dal tempo, è una dimensione interiore.
C’è una sofferenza interiore che non conosce pace.
Petrarca cerca la solitudine e riflette perché è molto solo.
Ogni accento è un passo, cammina lento e pensa. E’ come una foto.
Usa molte parole negative.