Il congresso dei topi

Un gatto chiamato Rodilardo faceva tale strage di topi che non se ne vedevano quasi più intorno, tanto grande era il numero di quelli che aveva mandato alla sepoltura. I pochi rimasti., mancando loro il coraggio di lasciare i rifugi in cui si celavano, erano ridotti a non mangiare nemmeno il quarto di ciò che occorreva loro per sfamarsi e Rodilardo era considerato fra quella povera gente, non un gatto, ma un vero e proprio demonio.

Un giorno però, quel gatto si mise in viaggio per certe sue private faccende e, approfittando di questa lontananza, i topi superstiti si riunirono a congresso per discutere e trovare un rimedio al grande pericolo che li sovrastava. Dichiarata aperta la seduta, il decano, vecchio topo noto per la sua prudenza, espose che, a suo parere, si sarebbe dovuto trovare il modo di attaccare al più presto un sonaglio al collo di Rodilardo. Così, quando costui si sarebbe avviato alla solita caccia di roditori, i topi, preavvertiti dal suono avrebbero fatto in tempo a rifugiarsi nei loro buchi. Non sapeva suggerire altro ripiego migliore di questo e tutti i congressisti condivisero il saggio parere del signor decano.

La difficoltà consisteva nel fatto di riuscire ad appendergli il sonaglio al collo:
Uno disse: “Io non ci vado; fossi pazzo!”.
Un altro mormorò: “Non me ne sento capace”.
La seduta fu sciolta senza venire a capo di nulla.

Ne ho visti anch’io di simili congressi che si sono riuniti per non approdare ad un bel niente. Congressi non di topi, ma di scienziati, e persino capitoli di canonici. Non mancano i buoni consiglieri quando si deve discutere, ma se si tratta di eseguire le decisioni prese, allora tutti si ritraggono indietro con qualunque pretesto.

Spesso si muore a piccole dosi

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia marcia, chi non rischia e chi non cambia il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione , chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle ” i “, piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore ed ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno , chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia , chi non legge , chi non ascolta musica ,chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio ,chi non si lascia aiutare.
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce , chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi , ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Il grido

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. I nostri vecchi dicevano “chi lavora un piatto di minestra ce l’ha sempre. Chi non lavora ce ne ha due”. Forse oggi la battuta potrebbe sembrare di cattivo gusto di fronte alla fatica e alle difficoltà enormi di trovare un posto di lavoro sicuro. un giovane che lo deve cercare, poi trovare… ha tanto di quel tempo libero… nell’attesa che fa? Va al bar, in discoteca, in qualche pub con gli amici, tornano a casa alle 4 di notte. Finchè una mattina, finalmente: DRIIIIIN -Pronto?- Buongiorno signore. Lei è fortunato, ha trovato un posto di lavoro. -Maledizione. Proprio io? con tutti i disoccupati che ci sono!

E voi così innocenti colpevoli d’esser nati
in giro per le strade, gli sguardi vuoti, i gesti un po’ sguaiati
si vede da lontano che siete privi di ideali
con quello spreco di energia dei giovani normali.

E voi che pretendete che tutto vi sia dovuto
con la scusa infantile che nessuno vi ha mai capito
siete così velleitari come artisti improvvisati
con quella finta libertà dei giovani viziati.

è un gran vuoto che vi avvilisce e che vi blocca
come se fosse un grido in cerca di una bocca.

E voi che rincorrete decisi e intraprendenti
l’idea di una carriera tipo imprenditori sempre più rampanti
disponibili a tutto, all’occorrenza anche disonesti
con tutta la meschinità dei giovani arrivisti.

E voi così randagi sempre sull’orlo del suicidio
covate ben racchiusa dentro il petto un’implosione d’odio
l’eroico vittimismo da barboni finti e un po’ frustrati
e col cervello in avaria dei giorni scoppiati.

è una rabbia che vi sconvolge e che vi blocca
come se fosse un grido in cerca di una bocca.

E voi che brancolate in un delirio tra il male e il bene
col rischio di affondare nella totale degradazione
aggrappatevi al sogno di una razza che potrebbe opporsi
per costruire una realtà di giovani diversi.

C’è nell’aria un’energia che non si sblocca
come se fosse un grido in cerca di una bocca.

Segreti

E finì per diventare una specie di scherzo collettivo quella storia. così finiscono i nostri segreti quando li esponi all’aria e in pubblico. Di terribile in noi e sulla terra e in cielo c’è forse solo quello che non è stato ancora detto. Saremo tranquilli solo quando tutto sarà stato detto, una volta per tutte, allora finalmente faremo silenzio e non avremo più paura di star zitti. Ci saremo.

da Viaggio al termine della notte

Dialogo tra Madonna Morte e un cavaliere

Il cavaliere giace semidisteso su un divano: è giovane e bello, indossa un ricco, elegante costume di sera; in mano tiene una rosa che di tanto in tanto porta alle labbra.

Entra Madonna Morte.

CAVALIERE. Buonasera Madonna.
MORTE. Buonasera Cavaliere.
CAVALIERE. Già da molto, Madonna, vi aspettavo, voi lo sapete, e vi chiamavo…
MORTE. Ed io, da molto ascolto il vostro richiamo.
CAVALIERE. Senza risponder mai, né farmi cenno d’aver udito. Ma che importa, ormai siete arrivata. Non volete sedere?
MORTE. No, il cammino per giungere sin qui mi è stato lieve; pensavo a voi che aspettavate. E poi, forse, non mi potrò fermare a lungo.
CAVALIERE. Mi porterete via con voi?
MORTE. E voi verreste via con me?
CAVALIERE. Allora perché vi avrei chiamata?
MORTE. Allora perché sarei venuta?

Pausa.

CAVALIERE. Vi ho tanto atteso, Madonna, e ora quasi mi sembra che vi vogliate un poco burlare di me.
MORTE. Non più di quanto il vostro abito me lo consenta.
CAVALIERE. Non si può, Madonna, attendere la Morte in abito marrone, seduti ad un tavolo d’ufficio; e una rosa sperduta tra le mani è assai più dolce di un telefono.
MORTE. Tuttavia mi piacete, Cavaliere, e cercherò di conquistarvi.
CAVALIERE. Io sono sempre stato vostro, Madonna, farò quanto mi ordinerete finché avrò un soffio di vita.
MORTE. Anche questo fa parte dell’abito di seta; e anche per questo mi piacete.
CAVALIERE. Per che cosa ancora, Madonna?
MORTE. Per Madamigella Vita, il cui nome sboccia tra le vostre labbra come la rosa che stringeste, un giorno, al suo roseto.
CAVALIERE. Io sarei lieto di potervela offrire, se la vorrete accettare dalle mie mani.
MORTE. La vita o la rosa, Cavaliere?
CAVALIERE. Ne dubitate, Madonna?
MORTE. Il Signore vi ha elargito i suoi doni a piene mani; siete bello…
CAVALIERE. Dite piuttosto di fattezze umane.
MORTE. …e nobile…
CAVALIERE. Dite raffinato, Madonna.
MORTE. …e generoso.
CAVALIERE. Dite prodigo, Madonna.
MORTE. E amate Madamigella Vita con ogni battito del vostro cuore, e anch’essa vi ama, tanto che non voleva lasciarmi accorrere da voi.
CAVALIERE. Amo voi, Madonna; Madamigella Vita mi ha dato troppo poco perché la possa amare ancora.
MORTE….come una volta.
CAVALIERE. Perché la possa ancora amare.
MORTE. E se io vi dessi altrettanto?
CAVALIERE. Vi odierei, ma voi mi togliete tutto. Che belle mani avete, e lunghe e affusolate…
MORTE. Per tanto filare il destino degli uomini.
CAVALIERE. …e forti.
MORTE. Per tanto spezzarlo.
CAVALIERE. Datemi solo un momento la vostra mano. Ecco. Dio com’è fredda. Eppure brucia come se fosse di fuoco.
MORTE. Invece le mani di Madamigella Vita sono morbide, tiepide e delicate.
CAVALIERE. Le vostre sono ambrate.
MORTE. E rosate le sue, come i petali di questa rosa alla quale vi afferrate, chiamando me.
CAVALIERE. Già una volta ve l’ho offerta, Madonna.
MORTE. La vedreste avvizzire, tra le mie mani.
CAVALIERE. Se voi non mi aiutate, non vi potrò seguire con le mie sole forze.
MORTE. Se con le vostre sole forze non riuscirete, Cavaliere, io certo non vi potrò aiutare.
CAVALIERE. Mi attirate e mi respingete, mi guardate con dolcezza eppure non mi vedete.
MORTE. Cerco di attraversare il vostro abito di seta.
CAVALIERE. Il mio abito di seta fa parte di me stesso. Non ho altra difesa davanti a voi.
MORTE. Il vero amore si abbandona, non ha bisogno di difesa.
CAVALIERE. Il vero bisogno deve rivestirsi d’un abito, altrimenti, per tanto annullarsi, si perderebbe.
MORTE. Avete paura di perdervi?
CAVALIERE. Prima di avervi trovata, sì, ho paura.
MORTE. Mi ritrovereste, io vi ritroverei.
CAVALIERE. Il nulla mi spaventa, Madonna.
MORTE. Mentre la Vita vi dà poco, ma certo.
CAVALIERE. Ma inutile. La odio.
MORTE. Odiate la Vita e temete la Morte, allora cosa volete, Cavaliere?
CAVALIERE. L’amore, Madonna.
MORTE. L’amore bisogna conquistarlo; l’amore, Cavaliere, è il dono che ha più caro prezzo…

(Qui il dialogo è rimasto interrotto)

La farfalla e il lume

Un parpaglione variopinto e vagabondo andava, una sera, discorrendo nel buio, quando vide in lontananza un lumicino. Subito drizzò le ali in quella direzione, e quando giunse vicino alla fiamma si mise a ruo-tarle agilmente intorno guardandola con grande meraviglia. Com’era bella!
Non contento di ammirarla, il parpaglione si mise in testa di fare con lei quello che faceva di solito coi fiori odorosi: si allontanò, si voltò, e puntando coraggiosamente il volo verso la fiamma le passò sopra sfiorandola.
Si ritrovò, stordito, ai piedi del lume; e si accorse, con stupore, che gli mancava una zampa e che la punta delle ali era bruciacchiata.
– Che cosa mi sarà successo? – si chiese, senza riuscire a trovare una ragione. Non poteva assolutamente ammettere che da una cosa tanto bella, com’era quella fiamma, gli potesse venire alcun male; e perciò, dopo aver ripreso un po’ di forze, con un colpo d’ali si rimise in volo.
Fece alcuni volteggi, e di nuovo puntò verso la fiamma per posarvicisi sopra. E subito cadde, bruciato, nell’olio che alimentava la vivida fiammella.
– Maledetta luce – mormorò il parpaglione in fin di vita. – Io credevo di trovare in te la mia felicità, e invece ci ho trovato la morte. Piango sul mio sciocco desiderio, perché ho conosciuto troppo tardi, e a mie spese, la tua natura pericolosa. –
– Povero parpaglione – rispose il lume. – Io non sono il sole, come tu ingenuamente credevi. Io sono soltanto un lume; e chi non sa usarmi con prudenza, si brucia.

L’apprendista stregone

Col mio soffio di vulcano cancellerò
il gelo di questa stanza
e col volo di una freccia trafiggerò
quella pallida luna a distanza;
ci sarò e non ci sarò,
continuerò
la mia invisibile danza,
senza tracce sulla neve lieve sarò,
mi dirai di sì o mi dirai di no.
Avrà il silenzio la voce che ho,
e mani lunghe abbastanza,
sarà d’attesa e d’intesa, però
saprò quello che ancora non so.
Col mio cuore di matita correggerò
gli errori fatti dal tempo
e con passo di guardiano controllerò
che si ferni o che avanzi più lento;
ci sarò e non ci sarò, ti parlerò
con ogni fragile accento
e sarò traccia sulla neve, neve sarò,
mi dirai di sì o mi dirai di no.
Sul manoscritto l’inchiostro sarò
e mi avrai nero su bianco,
saranno gli occhi o i tarocchi, però
saprò quello che ancora non so;
mi dirai di sì o mi dirai di no,
mi dirai di sì o mi dirai di no.

Sarai sola nel tuo sole
o solo sarò,
mi dirai di sì o mi dirai di no,
mi dirai di sì o mi dirai di no.

Ballo in Fa diesis minore

Sono io
io son di tutti voi

Sono io la morte e porto corona,
io Son di tutti voi signora e padrona
e così sono crudele, così forte sono e dura
che non mi fermeranno le tue mura…

Sono io la morte e porto corona,
io son di tutti voi signora e padrona
e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
e dell ‘oscura morte al passo andare.

Sei l’ospite d’onore del ballo che per te suoniamo,
posa la falce e danza tondo a tondo
il giro di una danza e poi un altro ancora
e tu del tempo non sei più signora

Il giocatore di biliardo

Soltanto l’erba sull’altopiano
è verde un po’ di più
ma non c’è da pensarci su
non c’è da stenderci su la mano
cercando di capire
qual’è il punto dove colpire
tic-tac tic-tac
per ogni geometria
tic-tac tic-tac
ci vuole fantasia
C’e una luce che luna non è
in un buio che notte non è
e una voce che voce non è
che non parla ma parla di me

D’improvviso mi brucia la mano
l’aria verde del panno sul piano
tic-tac
ed il gioca si porta via
rotolando la vita mia

Ecco perchè si trattiene il fiato
finchè si resta giù
e per sempre vuoI dire mai più
tic-tac tic-tac
per ogni geometria
tic-tac tic-tac
ci vuole fantasia

C’e una luce che luna non è
in un buio che notte non è
e una voce che voce non è
che non parla ma parla di me

e di colpo mi sfiora la mano
l’erba verde di questo altopiano
tic-tac
ed il gioco si porta via
rotolando la vita mia

Non è più come prima

Cresce come un appetito
il desiderio blindato
della tua gentilezza
che prorompe sotto i colpi inferti
non curando le ferite aggiunte,
anche oggi t’invado
dopo un assedio di capogiri
o smottamenti nella testa,
sconfino sul tuo terreno e ci resto
come uno spaventapasseri
il ritratto di me disteso
mentre sparecchi la cena
è un fotogramma ricorrente
che ti stramazza sul divano sempre
in quella sezione di giorno

Non è più come prima,
non è più come prima,
non è più

E tu fai ancora passi indietro
stringi ancora le gambe al petto
e sembri una conchiglia rotta
dopo lo spavento dell’onda,
ti difendi come puoi,
dipende dai nostri umori
se la casa ci inghiotte
o ci starnuta fuori dalle stanze
come colleghi di lavoro
un amore s’invecchia….

Non è più come prima,
non è più come prima,
non è più…

Quel che fa paura

Quel che fa paura
come i tasti estremi del pianoforte
come le falangi delle dita
quando la mano è magra
prima della morte

Quel che fa paura
come quelle strade in salita
sbarrate soltanto dal cielo
da quelle dita

Quel che fa paura
come le scale di legno di gialle cantine
come le statue di marmo nelle chiese
come le donne nude e distese
viste dal rosa di tendine

Quel che fa paura
come la scia di un benzinaio aperto
nelle strade di deserto americano
come i fulmini senza tuono
di primavera rumena
dove il povero è buono
e il cattivo non piega mai la schiena

Quel che fa paura
come il giallo lampeggiante
dopo l’ora di cena,
come l’ora di cena
quando il giallo lampeggia
e non hai neanche il pane da mangiare

Quel che fa paura
come un battesimo bianco
consumato nel fango
come una cresima dal sapor di buco nero
e di nozze ammazzate gridando
“non aver paura, non aver paura”

A un bambino queste cose son lontane
come salti di rane
dentro immense paludi,
come sputi a gola secca
scagliati contro un’onda del mare

Notte prima degli esami

Io mi ricordo quattro ragazzi con la chitarra
e un pianoforte sulla spalla,
come i pini di Roma la vita non li spezza,
questa notte è ancora nostra,
come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati.
Le bombe delle sei non fanno male,
è solo il giorno che muore, è solo il giorno che muore.
Gli esami sono vicini e tu sei troppo lontana dalla mia stanza,
tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto,
stasera al solito posto, la luna sembra strana
sarà che non ti vedo da una settimana.
Maturità t’avessi preso prima, le mie mani sul tuo seno
è fitto il tuo mistero,
e il tuo peccato è originale come i tuoi calzoni americani,
non fermare ti prego le mie mani
sulle tue cosce tese, chiuse come le chiese
quando ti vuoi confessare.
Notte prima degli esami, notte di polizia,
certo qualcuno te lo sei portato via,
notte di mamme e di papà col biberon in mano,
notte di nonne alla finestra, ma questa notte è ancora nostra,
notte di giovani attori di pizze fredde e di calzoni,
notte di sogni di coppe e di campioni,
notte di lacrime e preghiere,
la matematica non sarà mai il mio mestiere,
e gli aerei volano alto tra N.York e Mosca,
ma questa notte è ancora nostra,
Claudia non tremare, non ti posso far male, se l’amore è amore.
Si accendono le luci qui sul palco
ma quanti amici intorno che mi viene voglia di cantare,
forse cambiarti, certo un po’ diversi
ma con la voglia ancora di cambiare,
se l’amore è amore – se l’amore è amore – se l’amore è amore –
se l’amore è amore – se l’amore è amore …

Per Amore Mio – Ultimi Giorni Di Sancho P.

Ragazzo noi siamo bugie del tempo
appesi come foglie al vento di Mistral
non eri ancora nata e già ti avevo dentro
come stanotte in questa casa di Alcazar
ma più bello di averti
è quando di disegno
niente ha più realtà del sogno
il mondo non esiste
il mondo non è vero
e ho sognato di me.
Per amore , solo per amore
dei miei occhi, delle mie parole
con la frutta marcia fra le mani
con la donna che non c’è domani.
Per amore, solo per amore
del bambino perso sulle scale
per tenermi se le gambe tremano
e vedere dove gli altri guardano
no, Sancho non muore.
Ho combattuto il cuore dei mulini a vento
insieme a un vecchio pazzo che si crede me
ho amato Dulcinea insieme ad altri cento
ho cantato per lei, ma perché?
In un paese d’ombre
fra la terra e il cielo ora sogno di te.
Per amore, solo per amore
dei miei gesti, delle mie parole
delle notti che me li confondo insieme
e del vino lento fiume nelle vene.
Per amore, solo per amore
di quel viso che non può tornare
della stella che non può cadere già
la tua mano che non sa tenermi più.
Per amore, solo per amore
di quel viso che non può tornare
della stella che non può cadere giù
la tua mano che non sa tenermi più.
Per amore, solo per amore mio
ho giocato sempre a strabiliare.
Per amore, solo per amore mio
dietro un velo che non puoi arrivarci tu.
Per amore, solo per amore mio

Due destini

Ti ricordi i giorni chiari dell’estate
quando parlavamo fra le passeggiate
stammi più vicino ora che ho paura
perché in questa fretta tutto si consuma
mai non ti vorrei veder cambiare mai
Perché siamo due destini che si uniscono
stretti in un istante solo
che segnano un percorso profondissimo dentro di loro
superando quegli ostacoli
se la vita ci confonde
solo per cercare di essere migliori
per guardare ancora fuori
per non sentirci soli
Ed è per questo che ti sto chiedendo
di cercare sempre quelle cose vere
che ci fanno stare bene
mai io non le perderei mai
Perché siamo due destini che si uniscono
stretti in un istante solo
che segnano un percorso profondissimo dentro di loro
superando quegli ostacoli
che la vita non ci insegna
solo per cercare di essere più veri
per guardare ancora fuori
per non sentirci soli

Dentro la tasca di un qualunque mattino

Dentro la tasca di un qualunque mattino
dentro la tasca ti porterei
nel fazzoletto di cotone e profumo
nel fazzoletto ti nasconderei
dentro la tasca di un qualunque mattino
dentro la tasca ti nasconderei
e con la mano, che non vede nessuno,
e con la mano ti accarezzerei

salirà il sole del mezzogiorno
passerà alto sopra di noi
fino alla tasca del pomeriggio
ti porto ancora
se ancora mi vuoi

salirà il sole del mezzogiorno
e passerà alto, molto sopra di noi,
fino alla tasca del pomeriggio
dall’altra tasca ti porto
se vuoi

dentro la tasca di un qualunque mattino
dentro la tasca ti porterei
nel fazzoletto di cotone e profumo
nel fazzoletto ti nasconderei

dentro la tasca di un qualunque mattino
dentro la tasca ti nasconderei
e con la mano, che non vede nessuno,
e con la mano ti accarezzerei
e con la mano, che non vede nessuno,
con questa mano ti saluterei