Fiori d’arancio

Aveva uno sguardo intenso e diretto,
le dita curate e un sarcasmo congenito,
labbra sottili, armonioso contorno
di denti bianchi e perfetti.

Poche parole, eleganza nei modi,
una lieve cadenza d’oltralpe e dominio di sé.

Gli incontri divennero assidui e frequenti,
nei luoghi e agli orari più insoliti.
Quell’uomo intrigante teneva le redini
con singolare destrezza.

Pochi preamboli quando mi chiese:
“vorresti sposarmi?”, era onesto e sicuro di sé.

Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
fiori d’arancio intorno all’altare,
aspettavo il mio sposo con devozione.

La chiesa gremita di gente annoiata
per l’interminabile attesa.
Alle mie spalle sbadigli e commenti
e di lui neanche l’ombra lontana.

Pochi preamboli quando mi chiese:
“vorresti sposarmi?”, era onesto e sicuro di sé.

Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuno sposo impaziente all’altare,
soltanto un prete in vistoso imbarazzo.

Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuna marcia nuziale,
soltanto il mio tacito requiem
e immenso cordoglio

Alta marea

Autostrada deserta al confine del mare
sento il cuore più forte di questo motore
Sigarette mai spente sulla radio che parla
io che guido seguendo le luci dell’alba
Lo so lo sai la mente vola
fuori dal tempo e si ritrova sola
senza più corpo né prigioniera
nasce l’aurora
Tu sei dentro di me come l’alta marea
che scompare e riappare portandoti via
Sei il mistero profondo, la passione, l’idea
sei l’immensa paura che tu non sia mia.
Lo so lo sai il tempo vola
ma quanta strada per rivederti ancora
per uno sguardo per il mio orgoglio
quanto ti voglio
Tu sei dentro di me come l’alta marea
che scompare e riappare portandoti via
Sei il mistero profondo, la passione, l’idea
sei l’immensa paura che tu non sia mia.
Lo so lo sai il tempo vola
ma quanta strada per rivederti ancora
per uno sguardo per il mio orgoglio
quanto ti voglio

Giulia

Giulia gli occhiali sul naso
che sfiora la mente
parla di uomini e donne
come solo lei sa
e la camera è bassa
e la mano piano piano che scende
trova la tua tenerezza e la sua verità
Giulia ci sa fare
Giulia è intelligente
Giulia è qualcosa di più
Giulia ti accarezza
Giulia lotta insieme
Giulia parla anche per te… ohh
è Giulia che ti tocca
è Giulia che ti porta
via da me…
dove il cammino è deserto
e il deserto è confine
calda la luce degli occhi ti guiderà
mentre io dovrei essere
il tuo, o il suo giustiziere
scopro la dolce vittoria della sua crudeltà
Giulia ci sa fare
Giulia è intelligente
Giulia e’ qualcosa di piu’
Giulia ti accarezza
accarezza la tua mente
Giulia lotta anche per te
è Giulia che ti tocca
è Giulia che ti porta
via da me…
Perché lei è solo la mia vita
lei è solo tutto il mondo
lei è solo una gran parte di me
lei è solo una bambiana
lei è solo troppo bella
lei è solo troppo anche per te
lei è solo un po’ confusa
e ti prego non portarla
via da me…
Giulia

Se le cose stanno così

Se le cose stanno così…

Ricordo queste parole
che mi hai detto
in un giorno d’ottobre
dimenticato dal sole.

Se le cose stanno così…
Parole come veleno.
Cominciava a cadere la pioggia,
fra noi è caduto il silenzio.

Se le cose stanno così…
E non hai voluto finire.
L’ottobre si era fatto più freddo,
fra noi più niente da dire.

Il significato del leggere

Leggere significa identificarsi con l’amante e con il mistico. Leggere significa essere un po’ clandestini, abolire il mondo esterno, spostarsi verso una finzione, aprire le parentesi dell’immaginario. Leggere significa spesso ammalarsi (nel senso proprio e in quello figurato). Leggere significa stabilire una relazione attraverso il tatto, la vista, l’udito (le stesse parole risuonano). Si legge con tutto il corpo… il piacere viene dalla gioia dell’attesa (attesa che spesso si riduce alla suspence). C’è narrazione, vita, durata. Vi è la certezza di conoscere il seguito, ma nello stesso tempo assenza di seguito. Il lettore allora fugge, ma è trascinato avanti. Egli è in balia delle pagine. La sua attesa sarà premiata. La gioia dipende dal numero di pagine ancora da sfogliare.

da Saper leggere

Roma

Te ne ‘mporta assai de mè,
e io,
m’accoro assai pe ‘ttè.
Te sto appresso
e tu?
Ma che guardi?
‘Ndo’ te perdi tu,
che butti er core un pò de qquà,
e ‘n pò de là,
a che pensi?
A te, te ‘mporta assai de ‘me
che m’addoloro assai pe ‘ttè.
Sai so’ storie vere
solo quelle ‘ndove toppa er core,
e sbatte l’ali e tu me pari matta e scordarella
che sei bella Roma
perchè tu
sei bella ancora?
Mettemo caso ce se ne rinnamora,
che sei bella Roma
perchè tu sei bella ancora.
Pè fa’ soffri’
pe’ fà sentì,
che cielo ce stà in cielo a Roma
ner cielo acceso rosso foco d’oro rosso,
core d’oro rosso
de sta Roma mia.
te ‘mporta assai de noi,
cresciuti sotto l’occhi tuoi,
co’ la pioggia e cor sole,
pe’ li prati co’ le scarpe nove
e sotto i cornicioni
e l’Angioloni e i Papi tristi
e i Papi boni,boni…
e le fioriste e i cascherini
e facce toste…
E metti pure che eravamo regazzini,
Roma

#

La tua voce m’era lontana
chiedevi, così pensavo,
ma non capivo, e m’arrestavo,
ed ogni scelta restava vana.

M’irritai, m’hai visto
ma non era l’intenzione
di recar preoccupazione
e lo sguardo volger tristo.

Ma l’indecisione affama
cosicchè fermamente chiesi
ciò che è semplice, semplicemente presi
benchè la scelta risultasse grama.

(Titolo: Cameriere afono)

Il custode dei maiali

C’era una volta un principe povero, che possedeva un reame piccolo piccolo, ma grande abbastanza per potercisi sposare: e infatti lui voleva proprio sposarsi. Certo, era una bella sfacciataggine da parte sua andare dalla figlia dell’imperatore e chiederle:
“Vuoi sposarmi?”, ma lui l’osò, perché il suo nome era pur sempre conosciuto nel mondo: c’erano centinaia di principesse che a una domanda così avrebbero risposto subito di sì: ma lei, invece, niente.
Ora, state un po’ a sentire quel che successe…
Sulla tomba del padre di questo principe cresceva un cespuglio di rose meraviglioso. Questo cespuglio fioriva ogni cinque anni, e faceva una rosa sola, un fiore tanto bello che odorandolo ci si dimenticava di tutti i dolori e le preoccupazioni; e sul cespuglio veniva un usignolo che nel suo piccolo becco sembrava contenere tutte le melodie del mondo. Quella rosa e quell’usignolo sarebbero stati il dono per la principessa: infatti il principe li chiuse in un astuccio e glieli mandò.
L’imperatore ordinò che gli mostrassero i doni, nel grande salone dove anche la principessa veniva a giocare con le sue dame di compagnia (era l’unica cosa che lei sapesse fare). Fu così che , quando vide gli astucci dei regali, batté le mani dalla gioia.
“Magari fosse un gattino”, disse lei: e invece saltò fuori una splendida rosa.
“Che meraviglia”, dissero tutte le dame.
“È veramente bella”, disse l’imperatore .
Ma quando la principessa la toccò con la mano, per poco non si mise a piangere.
“Che orrore , padre!”, disse; “non è finta, è vera!”
“È vera? Che orrore!” dissero le dame.
“Aspettiamo prima di arrabbiarci” disse l’imperatore; vediamo prima cosa c’è nell’altro astuccio. Saltò fuori l’usignolo: all’inizio cantava così bene che nessuno poteva lamentarsi.
Le dame si misero a fare apprezzamenti in francese, una meglio dell’altra: “Superbe! Charmant!”.
Ma poi un vecchio cavaliere osservò: “Mi ricorda molto il carillon della povera imperatrice. È la stessa melodia, lo stesso tono.”
“È vero!”, disse l’imperatore , e si mise a piangere come un bambino.
“Allora, forse non è un uccello vero”, disse la principessa.
“Ma certo che è un uccello vero”, dissero quelli che lo avevano portato lì.
“Allora se ne può anche volare via”, disse quella, e non permise assolutamente che il principe venisse a trovarla a corte.
Ma lui non si lasciò intimidire ; si spalmò sulla faccia una tinta marrone scura, si abbassò il berretto sulle orecchie e bussò alla porta.
“Buongiorno, imperatore”, disse. “Potrei per caso entrare a servizio nel vostro palazzo?”
“Eh, ma lo sa quanti ce ne sono, come lei, che cercano un lavoro!” disse l’imperatore. “Però, aspetta un po’, ho bisogno di qualcuno che stia di guardia ai miei maiali. Ne abbiamo così tanti!”
E il principe fu assunto come guardiano dei maiali dell’imperatore . Gli fu data una lurida stanzetta negli scantinati, vicino alla stalla, e dovette rimanere lì.
Per tutto il giorno rimase seduto a lavorare, e prima di sera aveva già fabbricato una marmitta; intorno all’orlo aveva messo dei campanellini che , non appena la zuppa bolliva, cominciavano a suonare alla perfezione una vecchia melodia:

“O mio povero Agostino,
Tutto è andato, andato, andato…”

Ma la cosa migliore era che se uno infilava il dito nel fumo che saliva dalla marmitta, capiva subito dall’odore quali cibi stavano cuocendo sui fornelli di tutta la città: altro che belle rose!
Proprio in quel momento passò la principessa con tutte le dame; e quando sentì la melodia si fermò, molto contente, perché anche lei la conosceva.

“O mio povero Agostino,
Tutto è andato, andato, andato…”

Anzi, era la sola canzone che conosceva, ma la sapeva suonare soltanto con un dito solo.
“Il nostro custode dei maiali dev’essere molto colto”, disse; “sa proprio la canzone che conosco io!”, disse. “Di grazia, andate a chiedergli quanto costa il suo strumento”.
E così una delle dame dovette mettersi gli zoccoli per andare a parlare con lui.
“Cosa volete per quella marmitta?”, gli chiese.
“Voglio dieci baci dalla principessa!”, disse il custode.
“Mamma mia!”, rispose la dama.
“Mi dispiace, ma non posso venderla per meno”.
Quando la dama fu tornata, la principessa le chiese: “E allora, cos’ha detto?”
“Non posso ripetervelo”, rispose la dama; “È troppo orribile”.
“Ditemelo almeno nell’orecchio”, rispose lei, e così la dama glielo disse nell’orecchio.
“Che razza d’insolente!”, disse la principessa, e se ne andò; ma aveva fatto ancora pochi passi che i campanelli ripresero d’incanto a tintinnare:

“O mio povero Agostino,
Tutto è andato, andato, andato…”

“Di grazia”, disse, “andate a chiedergli se gli vanno bene dieci baci delle mie dame”.
“Proprio no, grazie”, fu la risposta del custode dei maiali. “Dieci baci della principessa: è la mia ultima parola”.
“Che disdetta!”, disse la principessa; “bisognerà che voi dame vi mettiate davanti a me, affinché non ci veda nessuno.
Le dame la circondarono da tutte le parti e allargarono le gonne: così il custode dei maiali ottenne dieci baci, e lei ebbe la pentola.
Che bel divertimento! Per tutta la notte e tutto il giorno misero a bollire la marmitta; così sapevano tutto quello che si stava cucinando in città, dalla casa del ciambellano a quella del ciabattino. Le dame ballavano e battevano le mani dalla contentezza.
“Noi sappiamo chi avrà la zuppa e chi avrà la focaccia! Sappiamo chi avrà la minestra e chi avrà le briciole! Questo sì che è interessante”.
“Certo che è interessante”, disse l’intendente della corte.
“Sì, ma mi raccomando, acqua in bocca! Io sono la figlia dell’imperatore!”
“Ma si figuri”, dicevano in coro tutte quante.
Il custode dei maiali – che in realtà era un principe, ma tutti lo prendevano per un vero custode di maiali – non lasciava passare un giorno senza inventarsi qualcosa. Un giorno costruì una raganella: quando uno la faceva girare saltavano fuori tutti i valzer, le polche e le mazurche che sono state composte sin dalla notte dei tempi.
“Questo sì che è davvero ‘superbe’”, disse la principessa quando passò di lì. “Non ho mai sentito canzoni così belle! Di grazia, andate a chiedergli quanto costa quello strumento; attenzione, però: io baci non glieli do!”
Una dama entrò a chiedere, e tornò dicendo che il custode dei maiali voleva cento baci.
“Ma quello lì è proprio matto, secondo me!”, disse la principessa; e stava per andarsene; ma dopo qualche passo tornò indietro: “Bisogna pur incoraggiare l’arte!”, pensò. “Dopotutto io sono la figlia dell’imperatore! Ditegli che gli darò dieci baci, come l’altro giorno, e gli altri glieli danno le dame!”
“Veramente a noi non piace”, dissero queste.
“Quante storie!”, rispose la principessa. “Se lo bacio io, perché non dovreste baciarlo anche voi? Dopotutto vi pago il vitto e l’alloggio!” E così la dama dovette tornare dal custode.
“Vuole soltanto cento baci dalla principessa”, disse, “Se no ognuno resta con quello che ha”.
“Fate da paravento”, sospirò la principessa: e una volta che tutte le dame si furono messe davanti, baciò il custode dei maiali.
“Che sarà mai tutta quella ressa davanti alla stalla dei maiali?”, si chiese l’imperatore , che si era affacciato al balcone. Si stropicciò gli occhi e poi inforcò gli occhiali.
“Ma sono le dame di compagnia! Chissà cosa stanno combinando! Bisogna che vada a vedere!”, e si tirò le pantofole sul calcagno – veramente un tempo erano state scarpe, ma lui le aveva tutte consumate.
Non appena fu sceso nel parco, prese a camminare piano piano, ma le dame non si accorsero di lui, perché erano troppo impegnate a sorvegliare il corretto svolgimento della faccenda: il porcaro non doveva ricevere troppi baci, ma nemmeno troppo pochi. Così a un certo punto lui si alzò sulle punte dei piedi.
“Ma cosa state combinando?”, disse, e quando vide che si stavano baciando, tirò loro una pantofola in testa, proprio mentre il guardiano dei maiali veniva baciato per l’ottantaseiesima volta.
“Via! Sparite!”, disse l’imperatore , infuriato, e così la principessa e il custode dei maiali furono banditi da tutto l’impero.
Lei si mise a piangere , mentre il custode dei maiali la sgridava, e pioveva a catinelle.
“Povera me!”, diceva la principessa. “Se mi fossi sposata quel bel principe! Come sono infelice”.
Il custode dei maiali andò dietro a un albero, si tolse la tinta nera dalla faccia, si tolse gli stracci e si rimise il suo vestito da principe, talmente bello che la principessa fece un profondo inchino davanti a lui.
“Cara mia!”, disse lui; “Lo sai? Ormai non ti voglio più bene, anzi! Non hai voluto un principe onorato, non sai nulla di rose e usignoli, ma per un sonaglio hai baciato un custode di maiali: ben ti sta!”
E se ne tornò nel suo regno, chiudendo la porta col catenaccio: e così a lei non rimase altro da fare che restare fuori a cantare:

“O mio povero Agostino,
Tutto è andato, andato, andato…”

#

Nel chiacchierino crocchio perder mi sento,
avrei voluto ci fossi tu meco
e se l’attenzione altrove io reco
immerso rimango nel vociar mai spento.

Non ci sei e di non pensar tento
al tempo che inutilmente spreco
assalito dal lamento greco
dell’uom fatale per cui mi pento

d’aver interrogato quando ero solo,
ultimo d’una schiera che paren cento
per sua serenitade con pazienza m’immolo.

(In fila dal dottore)

Dies irae

Dies irae

Dies irae, dies illa
Solvet saeclum in favilla:
Teste David cum Sibylla.
Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus!

Tuba mirum

Tuba, mirum spargens sonum
Per sepulcra regionum
Coget omnes ante thronum.
Mors stupebit et natura,
Cum resurget creatura,
Judicanti responsura.
Liber scriptus proferetur,
In quo totum continetur,
Unde mundus judicetur.
Judex ergo cum sedebit,
Quidquid latet, apparebit:
Nil inultum remanebit.
Quid sum miser tunc dicturus?
Quem patronum rogaturus,
Cum vix justus sit securus?

Rex tremendae

Rex tremendae majestatis,
Qui salvandos salvas gratis,
Salva me, fons pietatis.

Recordare

Recordare, Jesu pie,
Quod sum causa tuae viae:
Ne me perdas illa die.
Quaerens me, sedisti lassus,
Redemisti Crucem passus:
Tantus labor non sit cassus.
Juste judex ultionis,
Donum fac remissionis
Ante diem rationis.
Ingemisco, tamquam reus,
Culpa rubet vultus meus:
Supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti,
Et latronem exaudisti,
Mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae,
Sed tu bonus fac benigne,
Ne perenni cremer igne.
Inter oves locum praesta,
Et ab haedis me sequestra,
Statuens in parte dextra.

Confutatis

Confutatis maledictis,
Flammis acribus addictis,
Voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis,
Cor contritum quasi cinis:
Gere curam mei finis.

Lacrimosa

Lacrimosa dies illa,
Qua resurget ex favilla
Judicandus homo reus.
Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu Domine,
Dona eis requiem. Amen.

Giorno d’ira, quel giorno distruggerà il mondo nel fuoco, come testimoniano Davide e la Sibilla. Quanto terrore sta per venire, quando il giudice che giungerà presto giudicherà ogni cosa.
Una tromba che sparge un suono straordinario nei sepolcri delle regioni di tutto il mondo, chiamerà tutti davanti al trono. La morte e la natura stupiranno, appena la creatura sorgerà per rispondere a chi la giudica. Sarà mostrato il libro, in cui tutto è contenuto, e in base al quale il mondo sarà giudicato. Appena il Giudice si siederà, tutto ciò che è nascosto apparirà, e nulla rimarrà ingiudicato. Io che sono misero allora che dirò, chi chiamerò per difendermi, se a mala pena il giusto è al sicuro?
Re di tremenda maestà, tu che salvi per la tua grazia salvifica, salva me, o fonte di pietà.
Ricordati, Gesù buono, che sono la causa della tua via, non perdermi quel giorno. Cercandomi ti sedesti stanco, mi salvasti crocefisso; tanta fatica non sia vana. Giudice che punisci giustamente, donami la remissioni dei peccati prima del giorno del Giudizio. Mi dolgo perché sono colpevole, la colpa arrossisce il mio volto, risparmia chi ti supplica, o Dio. Tu che hai assolto Maria Maddalena, e hai esaudito il ladrone, anche a me hai dato speranza. Le mie preghiere non sono degne, ma tu, buono, fa con bontà che io non bruci nel fuoco perenne. Dammi un posto tra gli agnelli, e allontanami dai capri, stando alla tua destra.
Messi a tacere i maledetti, gettati nelle fiamme ardenti, chiama me tra i benedetti. Prego supplice e prostrato, con il cuore contrito come cenere, abbi cura della mia sorte.
Giorno di lacrime quel giorno, quando sorgerà dalle fiamme per essere giudicato l’uomo colpevole. Ma tu risparmialo, o Dio. Signore buono Gesù, dona loro riposo. Amen.

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Sembra far parte della natura stessa dell’amante la convinzione di essere più forte dell’oggetto del suo amore. Egli è sempre desideroso di evitare il minimo fastidio alla persona amata, e non vuole che nemmeno si graffi con una spina