Tutto quel che Dio ti dà è per il tuo bene

C’era una volta un re, che aveva scelto come suo consigliere personale un vecchio saggio, molto saggio, che tuttavia per i suoi detrattori aveva un grosso difetto: qualunque cosa succedesse, ripeteva : “tutto quello che Dio ti da’ e’ per il tuo bene…, tutto quello che Dio ti da’ e’ per il tuo bene…”. Il re sopportava comunque questo suo difetto, perche’ dai suoi consigli e dalla sua saggezza ricavava sempre grandi vantaggi; per questo motivo, non appena il sovrano usciva dalla reggia, il vecchio saggio seguiva il re ovunque andasse, ma proprio ovunque.

In un giorno di gran pioggia il re si reco’ dal barbiere, e terminate le operazioni di pulizia del volto, il ragazzo di bottega comincio’ la manicure. Mentre stava occupandosi dell’anulare della mano sinistra, vi fu un gran tuono: il ragazzo ed il re sobbalzarono, e nel trambusto, zac, al sovrano venne tagliata la falangetta!!

Strepiti, urla di spavento e di dolore, e la rabbia del re si abbatte’ sul malcapitato garzone: “In prigione, disgraziato, hai mutilato il tuo re, marcirai in galera per il resto dei tuoi giorni”; ma il vecchio saggio, rimasto imperturbabile fino a quel momento, comincio’ la sua litania: ” tutto quello che Dio ti da’ e’ per il tuo bene…, tutto quello che Dio ti da’ e’ per il tuo bene…”; il re al colmo della rabbia sbotto’ : ” Basta, mi hai proprio scocciato con queste stupidate, vecchio pazzo, mi stai prendendo in giro, mi hai sempre ingannato in tutti questi anni con queste idiozie, fila in prigione anche tu, cosi’ potrai blaterare le tue lagne fino alla fine dei tuoi giorni!!”

Il giorno dopo il re, per smaltire un po’ di rabbia penso’ di andare a caccia: ovviamente da solo, visto che il vecchio saggio, che fino al giorno prima era la sua ombra, stava languendo nelle segrete del castello…..Dopo aver un po’ gironzolato nella giungla, venne catturato da una setta di adoratori della dea Kali, contentissimi per aver trovato una vittima da sacrificare per la notte del plenilunio. Il re sbraito’, minaccio’ , prego’ ma non ci fu nulla da fare: a quella gente non importava ne’ il rango, ne’ il blasone, per loro era semplicemente un uomo da uccidere sull’altare sacro: per cui lo vestirono con la sacra veste, lo cosparsero del sacro unguento, lo legarono sull’altare e mentre il capo stava per affondare nel suo cuore il coltello sacro, si accorse con orrore che alla vittima designata mancava un pezzettino di dito.

Voi sapete come , per essere sacrificato, un corpo deve essere perfettamente integro, pena grandi disgrazie per la comunita’ tutta, per cui i seguaci lo coprirono d’insulti e sputi e lo lasciarono nella giungla, seminudo e terrorizzato, ma vivo!

Ancora frastornato, il re si avvio’ verso il castello, e nel tragitto capi’: il vecchio saggio aveva avuto ragione, come al solito; grazie a quell’incidente dal barbiere, la sua vita era stata risparmiata; cosa importava un piccolo pezzetto di dito, se paragonato al rischio che aveva corso? Meglio vivo senza un dito che morto integro, dopotutto!

Arrivato al castello, ando’ subito alle prigioni, libero’ il garzone e si reco’ dal vecchio saggio, che senza scomporsi meditava nella sua cella: entro’ , lo abbraccio’ e gli disse: ” Amico mio, perdonami, che cieco sono stato, mi han rapito i Thugs, mi stavano sacrificando, poi hanno visto che mi mancava un pezzo di dito, e mi hanno lasciato andare: avevi ragione tu, ” tutto quello che Dio ti da’ e’ per il tuo bene…, tutto quello che Dio ti da’ e’ per il tuo bene…, perdonami, starai sempre al mio fianco, il mio regno ti appartiene…Pero’, scusa un momento, ma tu, che ti ho sbattuto in prigione, umiliato e picchiato, dov’e’ il bene che Dio t’ha dato in tutto questo?”

Con serenita’ il vecchio guardo’ il suo sovrano e candidamente gli rispose:” Vede Maesta’ se lei non m’avesse messo in prigione, io l’avrei accompagnata a caccia, come sempre, ed a me non manca alcun pezzo di dito…”

Dove è più luce

Un vicino trovò Nasruddin in ginocchio
intento a cercare qualcosa.
” Cosa stai cercando Mullah ? “.
” La mia chiave. L’ ho persa”.
E i due uomini s’ inginocchiarono per
cercare la chiave perduta.
Dopo un po’ il vicino disse: ” Dove l’ hai
persa ? “.
” A casa “.
” Santo cielo ! Ma allora perchè la cerchi
qui ? ”
” Perchè qui c’ è più luce “.

La cornacchia e il pavone

Una cornacchia si gonfia di vana boria la testa, e raccattate le piume che erano cadute al pavone se ne fa bella. Da allora sdegna le proprie compagnie, e dei pavoni si intrufola entro il bellissimo gruppo. Ma quelli strappan le piume allo sfacciato volatile, ed a beccate lo cacciano via.
La cornacchia malconcia, piangendo, prende la strada per ritornare tra i suoi, ma vien respinta e riceve un triste marchio d’infamia. Ed una, allora, fra quelle che prima aveva sprezzato: “Se di buon grado ti fossi accontentata del nostro soggiorno e avessi accettato la sorte che la natura ci ha dato, tu non avresti patito quel loro affronto, né sentiresti il bruciore di questa nostra ripulsa”.
Così ci sono degli ignoranti che, grazie alle loro fastose apparenze, sembrerebbero delle persone importanti, se la smania di parlare non li tradisse.

La rana e il bue

Una volta una rana vide un bue in un prato. Presa dall’invidia per quell’imponenza, prese a gonfiare la sua pelle rugosa. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue.
Essi risposero di no.
Subito riprese a gonfiarsi con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande.
Quelli risposero: “Il bue”.
Sdegnata, volendo gonfiarsi sempre più, scoppiò e morì.
Quando gli uomini piccoli vogliono imitare i grandi, finiscono male.

La pipa e il bambù

Quando era un giovane studente di Zen, Yamaoka Tesshu andava sempre a trovare tutti i maestri. Andò a far visita a Dokuon di Shokoku.
Volendo mostrare la sua preparazione, disse:
«La mente, Buddha e gli esseri senzienti, in fondo, non esistono. La vera natura dei fenomeni è il vuoto. Non c’è nessuna realizzazione, nessuna illusione, nessun saggio, nessuna mediocrità. Non c’è nessuno che dia e niente che si riceva».
Dokuon, che stava fumando in silenzio, non fece commenti. Tutt’a un tratto colpì Yamaoka con la sua pipa di bambù. Questo fece arrabbiare moltissimo il giovane.
«Se niente esiste,» domandò Dokuon «da dove viene questa tua collera?»

L’asino vecchio e il pastore

Il susseguirsi delle signorie
è un mutare di nomi per il povero.
Un apologo breve ne fa fede.

C’era in un prato un asino, e un vecchietto
che lo pasceva, pieno di spaventi.
S’odono a un tratto voci di nemici.
Il vecchietto tremando si sforzava
di convincere l’asino a fuggire
per non essere presi; ma l’asino
indifferente chiese: “Perchè mai?
pensi che oò vincitore m’imporrà
doppie bastonate?” Il vecchio disse no.
“E allora che m’importa a chi servire,
se il peso sarà sempre lo stesso?”

La vera prosperità

Un uomo ricco chiese a Sengai di scrivergli qualche cosa per la continua prosperità della sua famiglia, così si potesse custodirla come un tesoro di generazione in generazione.
Sengai si fece dare un foglio di carta e scrisse: “Muore il padre, muore il figlio, muore il nipote”.
L’uomo ricco andò in collera.

“Io ti avevo chiesto di scrivere qualcosa per la felicità della mia famiglia! Perché mi fai uno scherzo del genere?”.
“Non sto scherzando affatto” spiegò Sengai.

“Se prima che tu muoia dovesse morire tuo figlio, per te sarebbe un gran dolore. Se tuo nipote morisse prima di tuo figlio, ne avreste entrambi il cuore spezzato. Se la tua famiglia, di generazione in generazione, muore nell’ordine che ho detto, sarà il corso naturale della vita. Questa per me è la vera prosperità”.

L’usignolo la rosa

“Lei mi ha detto che ballerà con me se le porterò delle rose rosse” piangeva il giovane studente; “ma in tutto il mio giardino non c’è una rosa rossa”
Dal nido su un olmo un usignolo lo udì, guardò tra le foglie e si meravigliò.
“Nessuna rosa rossa in tutto il mio giardino!” piangeva il ragazzo, e i suoi bellissimi occhi si riempivano di lacrime. “Ah, da che piccole cose dipende la felicità! Ho letto che tutti i saggi l’hanno scritto, solo per una rosa rossa la mia vita è diventata miserabile”.
“Alla fine ho trovato una persona che ama veramente” disse l’usignolo.
Notte dopo notte ho cantato di lui, anche se non lo conoscevo: notte dopo notte ho raccontato la sua storia alle stelle, e ora lo vedo.
I suoi capelli sono neri come i fiori del giacinto e le sue labbra sono rosse come la rosa che desidera; ma la passione ha reso il suo volto pallido come l’avorio, e il dolore ha lasciato il segno sulla sua fronte.
“Il Principe darà un ballo domani sera” mormorò il giovane studente “e la mia amata sarà della compagnia”. Se le porto una rosa rossa lei ballerà con me fino all’alba. Se le porto una rosa rossa, potrò stringerla fra le mie braccia, e lei poserà la sua testa sulla mia spalla, e la sua mano sarà stretta nella mia. Ma non ci sono rose nel mio giardino, così dovrò sedere solo e lei mi passerà vicino. Il mio cuore si spezzerà.
“Si, questa è una persona che ama veramente” disse l’usignolo.
“Ciò di cui cantavo egli soffre, ciò che è gioia per me per lui è sofferenza. L’amore vero è una cosa meravigliosa. E’ più preziosa di smeraldi, e più cara degli opali non può essere merce dei mercanti, e non può essere pesata nella bilancia dell’oro.”
“I musicisti siederanno nella loro galleria” disse il giovane studente, “e suoneranno con i loro strumenti a corda, e la mia amata danzerà al suono dell’arpa e del violino. Danzerà in modo così leggero che i suoi piedi non toccheranno il pavimento. Ma con me lei non danzerà, poiché non ho rose rosse da darle”; e si gettò sull’erba e pose il suo volto fra le sue mani, e pianse.
“Perché piange?” Chiese una lucertola verde, “Già , perché piange?” chiesero una farfalla e una margherita; “piange per una rosa rossa” disse l’usignolo, “Per una rosa rossa??” dissero “Ridicolo!” e risero. Ma l’usignolo capiva il segreto del dolore dello studente, e stette in silenzio sull’olmo, e pensò al mistero dell’amore. All’improvviso aprì le ali per volare e spiccò il volo nell’aria; passò nel bosco come un’ombra, e come un’ombra attraversò il giardino.
Nel centro di un’aiuola stava un bellissimo roseto, e quando lo vide volò sopra di esso.
“Dammi una rosa rossa ” pianse l’usignolo, ” e io canterò per te la mia canzone più dolce.”
Ma il roseto scosse la testa. “Le mie rose sono bianche” rispose “Ma vai da mio fratello che cresce intorno alla vecchia meridiana, e forse ti darà ciò che vuoi”.
Così l’usignolo volò sopra il roseto che stava crescendo intorno alla vecchia meridiana. “Dammi una rosa rossa”, supplicò l’usignolo, “e io canterò per te la mia canzone più dolce”.
Ma il roseto scosse la testa. “Le mie rose sono gialle” rispose “ma vai da mio fratello che cresce sotto la finestra dello studente e forse ti darà ciò che vuoi”.
Così l’usignolo volò sul roseto che cresceva sotto la finestra dello studente. “Dammi una rosa rossa” supplicò l’usignolo “e io canterò per te la mia canzone più dolce”. Ma il roseto scosse la testa; “le mie rose sono rosse” rispose “Più rosse della barriera corallina delle caverne dell’oceano, ma l’inverno ha gelato le mie vene, e il freddo ha gelato i miei boccioli, e la tempesta ha spezzato i miei rami, e non avrò rose quest’anno”.
“Solo una rosa rossa voglio!” supplicò l’usignolo, “solo una rosa rossa! Non c’è modo di averla?”.
“C’è un modo”, rispose il roseto; “ma è così terribile che non oso dirtelo”.
“Dimmelo” disse l’usignolo, “non ho paura”.
“Se vuoi una rosa rossa”, disse il roseto, “devi cantare le tue canzoni tutta la notte e tingerle con il sangue del tuo cuore. Devi cantare con una spina nel petto, devi cantare per me tutta la notte e la spina deve colpire il tuo cuore, e il tuo sangue deve scorrere nelle mie vene e divenire mio”.
“La morte è un grande prezzo da pagare per una rosa rossa” pianse l’usignolo, “e la vita è più preziosa di tutto. E’ bello sedere nel bosco e guardare il Sole con il suo carro d’oro, e la Luna col suo carro di perla. Ma l’amore è più grande della vita, e quanto vale il cuore di un uccellino rispetto al cuore di un uomo?”.
Così l’usignolo aprì le sue ali e volò come un’ombra sul bosco e vide il ragazzo dove l’aveva lasciato, con gli occhi ancora bagnati dalle lacrime, “Sii felice” pianse l’usignolo, “avrai la tua rosa rossa. Ciò che ti chiedo tornando ora è che dovrai essere una persona che ama veramente, perché l’amore è più saggio della filosofia, che è saggia, e più forte del potere, che è forte”.
Lo studente alzò gli occhi e ascoltò, ma non poteva capire ciò che l’usignolo gli stava dicendo, poiché egli sapeva solo ciò che era scritto nei libri.
Ma l’olmo sentì e fu triste “cantami l’ultima canzone” gli chiese “perché io sarò solo quando te ne sarai andato”; e l’usignolo cantò all’olmo e la sua voce era come acqua che sgorgava da una fonte d’argento. “Canta molto bene” si disse lo studente alzandosi da terra e andandosene, “nessuno può negarlo, ma quell’usignolo ha sentimenti? Ho paura di no! Infatti quell’uccellino è come molti artisti, ha molta classe e poca sincerità! Non si sacrificherebbe mai per gli altri. Pensa meramente alla musica, e tutti sanno che l’arte è egoista. Fermo restando che devo ammettere che la sua musica ha bellissime note. Peccato che non significa niente e non ha nella pratica nulla di buono!”, e andò nella sua stanza, si distese sul letto e cominciò a pensare alla sua amata, e cadde addormentato.
Quando la Luna brillò nel cielo, l’usignolo volò sul roseto e pose il suo petto sulla spina.
Tutta la notte cantò, e la Luna fredda e cristallina ascoltava. Tutta la notte cantò e la spina entrava sempre più a fondo nel petto dell’uccellino e il sangue scorreva via da lui.
Una rosa stava nascendo petalo dopo petalo, come canzone dopo canzone. All’inizio era pallida poi cominciò a colorarsi.
Ma il roseto chiese all’usignolo di premere di più sulla spina “Premi più forte” disse, “o il giorno arriverà prima che la rosa sia finita”.
Così l’usignolo spinse il suo petto sulla spina cantando sempre più forte le sue canzoni, e cantò dell’amore che nasce nel cuore di un uomo e di una fanciulla.
“Premi più forte” disse ancora il roseto; e l’usignolo spinse il suo petto cosicché la spina toccò il suo cuore e una fitta di dolore pervase il povero uccellino. Amara diveniva la sua canzone e selvaggio il suo canto; cantò come l’amore è perfezionato dalla morte, e che l’amore non muore nella tomba.
La rosa divenne rossa, e come un rubino aveva il cuore. Ma la voce dell’usignolo divenne più lieve, le sue ali si chiusero e infine chiuse gli occhi.
Cantò la sua ultima canzone, la Luna l’ascoltò e si attardò nel cielo; la rosa rossa l’ascoltò e tremò per l’entusiasmo e aprì i suoi petali alla fresca aria del mattino.
“Guarda! Guarda!” gridò il roseto “La rosa è terminata”, ma l’usignolo non rispondeva più, ora era disteso sul prato con la spina nel petto.
Lo studente aprì la finestra e guardò fuori e vide la rosa, “Che fortuna!” gridò; “Ecco una rosa rossa! Non ne ho mai viste così in tutta la mia vita”, si sporse e la colse.
Si mise il cappello e corse alla casa del professore con la rosa in mano.
La figlia del professore stava seduta vicino alla porta e il suo cagnolino si trovava ai suoi piedi.
“Hai detto che avresti danzato con me se ti avessi portato una rosa rossa”, disse lo studente “Ecco la rosa più rossa del mondo! La terrai stasera vicino al tuo cuore e quando danzeremo insieme ti ricorderà che ti amo”
Ma la fanciulla aggrottò la fronte. “Temo che non andrà bene col mio abito”, rispose “e, inoltre, il nipote del ciambellano mi ha mandato dei gioielli veri, e tutti sanno che i gioielli costano molto di più dei fiori!”
“Sei ingrata!” disse lo studente arrabbiato; e gettò la rosa nella strada, dove finì sotto le ruote di un carro.
“Ingrata!” disse la ragazza, “E io ti dico che tu sei rude! E dopo tutto chi sei tu? Solo uno studente! E non credo che tu abbia mai avuto delle rifiniture d’argento alle scarpe come le ha il nipote del ciambellano!” si alzò dalla sedia e rientrò nella casa.
“Che stupida cosa è l’amore” disse lo studente andandosene, “Non è utile nemmeno la metà della Logica, non prova nulla, e dice sempre a qualcuno delle cose che non accadranno, facendo credergli cose che non sono vere. Infatti è poco pratico, e, a questa età, essere pratici è tutto! Tornerò ai miei studi di filosofia e metafisica”.
Così tornò nella sua stanza, tirò fuori un grande libro e cominciò a leggere.

da Happy prince and other stories

Il bambino cattivo e la staccionata

C’era una volta un bambino che faceva tante cose cattive; questo bambino faceva arrabbiare tutti e a tutti arrecava dei gran dolori con misfatti e insulti.
Un giorno però il bambino cominciò a capire il male che stava facendo e ne provò dolore anch’egli, così decise di diventare “buono”.
Andò dal nonno e gli disse: “Nonno come posso fare per diventare più buono?”; e il nonno, saggia persona, gli rispose: “Vedi quella staccionata laggiù? Ogni volta che fai un’azione cattiva andrai presso quella staccionata e con un martello ci metterai un chiodo”, il bambino all’inizio fu un po’ sorpreso da questo consiglio, poi però fece come gli disse il nonno.
Nonostante le buone intenzioni del bambino, i chiodi nella staccionata furono molti! Ma cominciava a diminuire la frequenza con cui il bambino inchiodava, fino ad arrivare al giorno in cui il bambino non ne mise neppure uno!
Allora il bambino andò dal nonno e disse: “Nonno finalmente non faccio più cattive azioni, ma ancora non mi sento buono!”, e il nonno disse “Bene, ora vai alla staccionata e con questo cacciavite comincia a togliere tutti i chiodi che hai messo”; il bambino fece come gli disse il nonno.
Ci volle un po’ di tempo ma i chiodi furono tutti rimossi, il bambino tornò dal nonno e il nonno gli disse: “cosa noti?”, e il bambino “bè, ora al posto dei chiodi ci sono tanti buchi!” e il nonno “Ecco, quello è il male che hai causato, a volte non basta non fare cattive azioni per sentirci buoni, dovremmo cominciare a togliere i “chiodi” dalla nostra staccionata e vedere quanto profondi sono i “buchi lasciati”, a volte capita che il tempo otturi quei buchi, altre volte quei buchi sono talmente profondi che nemmeno il tempo riesce a chiudere, altre volte ancora lasciamo lì quei chiodi senza volerli rimuovere”.

La coscienza è come la staccionata in cui quel bambino poneva dei chiodi; a volte non vogliamo vederla ma è lì che aspetta che tu tolga quei chiodi e che ripari il male fatto; ma è molto più facile martellare un chiodo che toglierlo

Il non vedente e il pubblicitario

Un giorno, un uomo non vedente stava seduto sui gradini di un edificio con un cappello ai suoi piedi ed un cartello recante la scritta: “Sono cieco, aiutatemi per favore”. Un pubblicitario che passeggiava lì vicino si fermò e notò che aveva solo pochi centesimi nel suo cappello. Si chinò e versò altre monete, poi, senza chiedere il permesso dell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase. Quello stesso pomeriggio il pubblicitario tornò dal non vedente e notò che il suo cappello era pieno di monete e banconote. Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo: chiese se non fosse stato lui ad aver riscritto il suo cartello e cosa avesse scritto. Il pubblicitario rispose “Niente che non fosse vero – ho solo riscritto il tuo in maniera diversa”, sorrise e andò via. Il non vedente non seppe mai che ora sul suo cartello c’è scritto: “Oggi è primavera…ed io non la posso vedere”.

Cambia la tua strategia quando le cose non vanno bene e vedrai che sarà per il meglio. Abbi fede: spesso, ogni cambiamento è il meglio per la nostra vita

Le pietre della vita

Un esperto in time management, tenendo un seminario ad un gruppo di studenti, usò un’illustrazione che rimase per sempre impressa nelle loro menti.
Per colpire nel segno il suo uditorio di menti eccellenti, propose un quiz, poggiando sulla cattedra di fronte a se’ un barattolo di vetro, di quelli solitamente usati per la conserva di pomodoro.
Chinatosi sotto la cattedra, tiro’ fuori una decina di pietre, di forma irregolare, grandi circa un pugno, e con attenzione, una alla volta, le infilo’ nel barattolo. Quando il barattolo fu riempito completamente e nessun’altra pietra poteva essere aggiunta, chiese alla classe:

– “Il barattolo e pieno?”.
– Tutti risposero di si’.
– “Davvero?”.
Si chino’ di nuovo sotto il tavolo e tiro’ fuori un secchiello di ghiaia.
Verso’ la ghiaia agitando leggermente il barattolo, di modo che i sassolini scivolassero negli spazi tra le pietre.
Chiese di nuovo,
– “Adesso il barattolo e’ pieno?”.
A questo punto, la classe aveva capito.
– “Probabilmente no” rispose uno.
– “Bene” replico’ l’insegnante.
Si chino’ sotto il tavolo e prese un secchiello di sabbia, la verso’ nel barattolo, riempiendo tutto lo spazio rimasto libero.
Di nuovo,
– “Il barattolo e’ pieno?”.
– “No!” rispose in coro la classe.
– “Bene!” riprese l’insegnante.
Tirata fuori una brocca d’acqua, la verso’ nel barattolo riempiendolo fino
all’orlo.
– “Qual e’ la morale della storia?”, chiese a questo punto.
Una mano si levo’ all’istante
“La morale e’: non importa quanto fitta di impegni sia la tua agenda, se lavori sodo ci sarà sempre un buco per aggiungere qualcos’altro!”.
– “No, il punto non e’ questo”.
“La verità che questa illustrazione ci insegna e’: se non metti dentro prima le pietre, non ce le metterai mai.”
Quali sono le “pietre” della tua vita?
I tuoi figli, i tuoi cari, il tuo grado di istruzione, i tuoi sogni, una giusta causa. Insegnare o investire nelle vite di altri, fare altre cose che ami, avere tempo per te stesso, la tua salute, la persona della tua vita.
Ricorda di mettere queste “pietre” prima, altrimenti non entreranno mai.
Se ti esaurisci per le piccole cose (la ghiaia, la sabbia), allora riempirai la tua vita con cose minori di cui ti preoccuperai non dando mai veramente “quality time” alle cose grandi e importanti (le pietre).
Questa sera, o domani mattina, quando rifletterai su questa storiella, chiediti:
“Quali sono le ‘pietre’ nella mia vita?” Metti nel barattolo prima quelle.

Pollicino

Moltissimo tempo fa, quando si filava ancora la lana, nelle campagne vivevano due poveri contadini, marito e moglie. Sebbene fossero molto poveri, desideravano moltissimo d’avere un figlio.
– Pensa, moglie mia – sospirava l’uomo – come la casa sarebbe più allegra se ci tenesse compagnia vicino al fuoco un bel bambino!
– Ahimè! Marito mio – rispose la moglie fermando il suo arcolaio – anche io ne sarei molto felice. Anche se fosse molto piccolo, guarda, non più grande del mio pollice, l’accoglierei con gioia.
Qualche mese dopo, con loro grande felicità, nacque un figlio. Era ben fatto ed aveva una bella voce, ma di taglia piccolissima, non più grande dell’unghia di suo padre. Il ragazzo non divenne mai grande. Aveva un’intelligenza viva, era anche molto abile, riusciva in tutto quello che si attingeva a fare. I suoi genitori, anche se in un primo tempo si erano preoccupati, si erano presto adattati alla sua piccola statura e lo avevano soprannominato con affetto Pollicino. Vegliavano su questo piccolo uomo che avevano tanto desiderato, affinché non gli mancasse nulla. Un giorno suo padre, mentre si apprestava a partire per abbattere alcuni alberi, sospirò:
– Se avessi almeno qualcuno che mi aiutasse a condurre la carretta!
– Papà! – gridò Pollicino – Lasciatemi guidare la carretta da solo. Vi raggiungerò nella radura e voi intanto guadagnerete tempo.
– Ma tu sei piccolo! – esclamò il padre sorridendo – Come potrai guidare il cavallo e prendere le redini?
– Ho un’idea – gridò il piccolo uomo – la mamma attaccherò il cavallo, poi mi isserà fino all’altezza della testa ed io scivolerò all’interno del suo orecchio. Il cavallo mi conosce bene e non avrà certamente paura, così io lo guiderò al luogo dove avrai tagliato la legna.
Il padre diede infine il suo consenso, la madre attaccò il cavallo. Il ragazzo lo guidò come un vero carrettiere, fermandosi saggiamente agli incroci. Quando fu in vista della radura incrociò due stranieri che chiacchieravano. Poiché udirono una voce essi si voltarono.
– Hoo! Hoo! Là! Là! Stiamo per arrivare mio bravo Zeffiro – gridò in quel momento Pollicino ben nascosto nel suo strano nascondiglio.
– Sangue di Bacco! Sto sognando! – disse uno dei due – una carretta che se ne va da sola: si sente la voce del guidatore e non si vede nessuno.
– Seguiamola, non c’è dubbio che si tratta di qualche stregoneria.
Il pesante veicolo si fermò di colpo davanti alla catasta di legna. Davanti agli occhi dei due curiosi il contadino s’avvicinò al cavallo e gli tolse dall’orecchio il minuscolo omino che, tutto vispo, venne a sedersi su un fuscello di paglia a qualche metro dai due uomini. Nel vedere questo personaggio in miniatura così audace e pieno di risorse, i due uomini ne rimasero colpiti. Alla fine uno dei due s’avvicinò al contadino e gli disse:
– Brav’uomo, vendeteci vostro figlio. Gli faremo guadagnare una fortuna facendolo vedere nelle fiere dei grandi villaggi.
– Vedere il mio caro figlioletto? Non se ne parla nemmeno. – rispose indignato il contadino.
Ma Pollicino, approfittando della distrazione dei due compari, occupati a contare i loro scudi, gli sussurrò:
– Papà, accetta il denaro di questi due furfanti che vogliono sfruttarmi, io scapperò prestissimo, te lo prometto.
Il brav’uomo, con il cuore un po’ grosso, lo vendette quindi per due bei scudi d’oro. Rapidamente saltò sulla falda del vestito di uno dei due compari, s’arrampicò sulla sua spalla e infine s’installò sul bordo del suo cappello. Camminarono così tutta la giornata e allorquando arrivarono al bordo di un campo appena mietuto, Pollicino all’improvviso gridò:
– Lasciatemi scendere a terra, vedo laggiù un coniglio selvatico preso al laccio, con il quale potremo fare un buon pranzo. Ve lo mostrerò.
Allettato e senza alcun sospetto, l’uomo lo posò in terra. Agile come un’anguilla, Pollicino si infilò nel buco di un topo campagnolo gridando:
– Buona sera signori e buon viaggio, ma senza di me.
Furiosi i due uomini se ne partirono imprecando. Pollicino decise di attendere l’alba al riparo di un guscio vuoto di lumaca. Dormiva profondamente quando un brusio di voci lo svegliò. Due ladri si erano fermati a due passi da lui. Uno di loro diceva:
– Come potremo rubare a questo ricco prete?
– Vi dirò io come fare – gridò molto forte Pollicino – portatemi con voi e io vi aiuterò. Abbassate gli occhi, sono qui vicino.
– Come, sei tu, piccolo diavoletto, che pretendi d’aiutarci? – dissero i due ladroni scoppiando a ridere.
– Io scivolo con facilità tra le sbarre della camera del prete – spiegò Pollicino – poi, una volta entrato, vi passo tutto quello che volete.
– Tu non sei uno stupido – disse uno dei due uomini collocandolo sulla sua spalla – che la fortuna ci assista, ma affrettiamoci perché si sta alzando la luna.
Arrivati al presbiterio, Pollicino vi entrò e si mise a gridare:
– Volete tutti i luigi d’oro e i lingotti d’argento?
Stupiti i ladri lo supplicarono immediatamente di parlare a voce bassa, perché un tal chiasso rischiava di svegliare il prete. Ma Pollicino fece orecchie da mercante ai consigli dei due banditi e gridò a gran voce:
– Decidetevi perdiana! I quadri e l’argenteria vi interessano o no?
La cuoca che aveva il sonno leggero, udendo quel beccano, scese dal letto, accese la candela alle braci del focolare e si precipitò in direzione dell’ufficio. Quando entrò nella stanza la trovò vuota. I ladri, spaventati, erano fuggiti da sotto la finestra, mentre Pollicino, tutto tranquillo, si era rifugiato in una mangiatoia del granaio vicino. La brava donna, rassicurata, tornò a dormire. Al mattino, all’alba, la serva incaricata di dar da mangiare alle bestie s’impossessò di una bracciata di fieno per nutrire le mucche. Quella che aveva il vitellino ad allattare si gettò avidamente sulla mangiatoia e, hop! Pollicino, svegliatosi, fu precipitato fino in fondo allo stomaco nauseabondo del ruminante che ingurgitava grosse quantità di fieno.
– Basta fieno, basta erba! Soffoco! – gridò Pollicino.
Presa da gran spavento nel sentire la mucca parlare, la povera serva cadde riversa chiamando il prete al soccorso.
– Miio braavo papa..drone, la la.. nos…tra mu..mu…mmucca paarla que..que..sta mamaa..ttina! – balbettò la brava donna.
– Vediamo, figlia mia, voi sognate! – gridò stupito il prete alzando la sottana nella stalla tutta sporca.
Ma la voce risuonò di nuovo. Il prete si fece subito il segno della croce.
– E’ senza dubbio una manovra del diavolo.
Cosparse abbondantemente d’acqua santa la stalla, la mucca e la serva. Dopodiché (non si è mai troppo prudenti) decise di far abbattere l’animale perché continuava ostinatamente a gridare. Effettivamente Pollicino aveva paura di morire soffocato. La povera mucca fu dunque sacrificata e il suo stomaco fu gettato in un mucchio di detriti. Pollicino soffrì molto ad uscire da quel ventre maleodorante. Finalmente respirò il suo primo sbuffo d’aria fresca, sennonché un lupo affamato inghiotti lo stomaco della mucca ed il suo contenuto. Ecco di nuovo il nostro sfortunato piccolo uomo in un nuovo nascondiglio poco confortevole ed inoltre tutto buio. Egli quindi mormorò:
– Caro lupo, nell’ultima casa del villaggio c’è una dispensa ben fornita. Quando arriva la notte entra dentro dal tubo di scarico, potrai così riempirti la pancia a sazietà.
– Questo lungo digiuno – borbottò tra se il lupo – mi dà allucinazioni, infatti sento alcune voci… bah! Il consiglio non è poi così cattivo, seguiamolo.
Lo seguì così bene che quando volle andarsene il suo ventre troppo pieno gli impedì di passare attraverso il tubo. Era rimasto in trappola. Pollicino si mise subito a gridare, mettendo in subbuglio la casa:
– Caro papà, ammazzate questo lupo che mi tiene prigioniero nella sua pancia!
Così avvenne e Pollicino ritrovò i suoi genitori felici di rivederlo.

L’uomo e la volpe

Un tale era pieno di rancore contro una volpe che gli recava danni, e il giorno che la catturò volle prendersi una bella vendetta: le legò alla coda della stoppa inzuppata d’olio e le diede fuoco. Ma un dio guidò la volpe proprio nei campi di colui che aveva appiccato il fuoco. Era il tempo della messe, e quello le andava dietro piangendo, perchè non aveva mietuto nulla.
Bisogna essere tolleranti e non abbandonarsi senza ritegno all’ira, perchè l’ira procura spesso gravi danni.

La lezione della farfalla

Un giorno, apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a
guardare la farfalla che per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa
dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non
avesse più la possibilità di fare niente altro. Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo.La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento. L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla! In quanto, la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate.Non fu mai capace di volare. Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare.
Era la forma con cui Dio la faceva crescere e sviluppare.
A volte, lo sforzo é esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita.
Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati. Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare.
Chiesi la forza…e Dio mi ha dato le difficoltà per farmi forte. Chiesi la sapienza… e Dio mi ha dato problemi da risolvere. Chiesi la prosperità… e Dio mi ha dato cervello e muscoli per lavorare. Chiesi di poter volare… e Dio mi ha dato ostacoli da superare.
Chiesi l’amore… e Dio mi ha dato persone con problemi da poter aiutare. Chiesi favori… e Dio mi ha dato opportunità.
Non ho ricevuto niente di quello che chiesi…
Però ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno.

Il pesciolino in cerca dell’oceano

Un pesciolino cercava l’oceano e chiedeva informazioni a chiunque incontrasse.
“Scusate” diceva. “Sto cercando l’oceano, sapete dirmi dove posso trovarlo?”
Ma pareva che nessuno lo sapesse.
Finalmente un giorno incontrò un pesce più anziano e saggio che gli rispose:
“Certo che lo so dov’è l’oceano” .
“Dove, dove?”Chiese ansiosamente il pesciolino. “ Ma non vedi? L’oceano è qui,
intorno a te. Ci stai nuotando dentro.”
Ma la risposta non convinse il pesciolino:”Questo non è l’oceano. E’ solo acqua”
Disse fra sé, e nuotò in un’altra direzione alla ricerca di una diversa, più soddisfacente risposta.