Felicità incontestabile

Nutriva la più ferma fiducia di soverchiare la malinconia e il tedio infondati a cui soggiaceva trovando – o fingendo di trovare – in sè una modica dose di allegrezza. La credulità, questo acme della convinzione, lo aveva lasciato in uno stato di quiete incandescente. Ogniqualvolta partecipava a qualche celia o scherzo di bassa lega, non mancava mai di dirsi: “Ora non sono depresso, ora non sono annoiato.” Definiva il procedimento: “dimenticarsi dei guai.”
La maggioranza degli uomini oscilla perpetuamente nel dubbio se è o non è felice, se è o non è allegra. Questa è la condizione normale della felicità, giacchè il dubbio è una cosa naturalissima.
Solo Ryotaro dichiara: “Io sono felice,” e si persuade di esserlo davvero.
Ecco perchè il prossimo è portato a credere nella cosiddetta “felicità incontestabile” di lui. E alla fine una cosa gracile ma reale viene rinchiusa in una macchina potente di falsità. La macchina prende a funzionare a tutta forza. E il prossimo non si accorge neppure che Ryotaro è un ammasso di “autoimpostura”.

da Confessioni di una maschera

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