Il viaggio

(…) Non potevo impedirmi di scorgere più chiaramente altre ragioni oltre alla malaria per la depressione fisica e morale da cui mi sentivo sopraffatto. Si trattava in più d’un cambiamento d’abitudini, bisognava che imparassi ancora una volta a riconoscere nuovi volti in un nuovo ambiente, altri modi di parlare e di mentire.
L’indolenza è quasi forte come la vita.
La banalità della nuova farsa che bisogna recitare vi annienta e vi occorre tutto sommato ancora più vigliaccheria che coraggio per ricominciare.
È questo l’esilio, l’estraneo, questa inesorabile osservazione dell’esistenza com’è davvero durante quelle poche ore lucide, eccezionali nella trama del tempo umano, in cui le abitudini del paese precedente vi abbandonano, senza che le altre, le nuove, vi abbiano ancora rincoglionito a sufficienza.

Tutto in quei momenti viene ad aggiungersi alla vostra immonda miseria per forzarvi, debilitati come siete, a scoprire le cose, la gente e l’avvenire così come sono, cioè degli scheletri, nient’altro che nullità, che bisognerà tuttavia amare, vezzeggiare, difendere, animare come se esistessero.

Un altro paese, altra gente intorno a te, agitata in un odo un po’ bizzarro, qualche piccola vanità in meno, dispersa, qualche orgoglio che non trova più la sua ragione, la sua menzogna, la sua eco familiare, e non occorre altro, la testa vi gira, e l dubbio vi attira, e l’infinito si spalanca solo per voi, un ridicolo piccolo infinito e voi ci cascate dentro…

Il viaggio è la ricerca di questo niente assoluto, di questa piccola vertigine per coglioni…(…)

da Viaggio al termine della notte

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